Corriere della Sera, 7 aprile 2022
La fede di Renato Zero
«Di Renato Zero ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno». Il re dei sorcini, con una battuta, fa capire di non temere rivali parlando dei suoi show al Circo Massimo, un’arena frequentata da giganti come Springsteen, Waters e Gilmour. Con i quattro (per ora) concerti a settembre (dal 23 al 25 e il 30) festeggerà i 70 anni compiuti nel 2020. «L’unica paura che ho è che non mi reggano le gambe, di finire a languire in studio di registrazione. I 72 sono più preziosi dei 18. Il futuro è più corto del passato, ma voglio essere vivo e presente quando lo racconterò».
Prima dei live, ha pronto un libro e un doppio album, Atto di fede, in uscita domani. Il progetto discografico è imponente: 19 brani di musica sacra composti da lui, tra cui anche una nuova versione di Ave Maria (portata al Festival di Sanremo nel ’93). «Questo oratorio è una sfida – racconta – è un lavoro che difendo e mi inorgoglisce, c’eravamo dimenticati di Dio, abbiamo lasciato che l’apatia, la stanchezza intellettuale ci impedisse di raggiungerlo. Accarezzo Dio da vicino, gli faccio i complimenti per avermi gestito e mantenuto intatta la fede. Mi faccio il segno della croce ogni volta che salgo sul palco. Non per esibizionismo, è una forma di protezione. Questa umiltà di dirsi cattolici, cristiani è sparita. È preferibile giocare i numeri al Totip per raggiungere quella serenità che avremmo con poca spesa, cercando Dio per ringraziarlo, anche del dolore, perché comprendiamo meglio noi stessi dopo essere inciampati nel buio. Dobbiamo avere il coraggio di sentirci difettosi, inadeguati. Attraverso Atto di fede mi riproponevo di guadagnarmi la soddisfazione personale di godere di una vittoria: aver ampliato la mia musica. Anche se in tante mie canzoni sono andato molto vicino, senza essere Prévert, a centrare le emozioni».
Nell’album si affrontano temi come la vita e la morte, l’ambiente, il lockdown, le migrazioni, l’abbandono, il perdono, l’essere padre. Perché la fede non va ricercata solo in Dio «ma anche nella capacità di riaccostarci gli uni agli altri». Il progetto è arricchito dalle lettere scritte da 15 «apostoli della comunicazione»: da Baricco a Castellitto, da Cazzullo a Lella Costa a Veltroni. «Abbiamo messo insieme l’eccellenza del pensiero e dell’azione – dice —. Ci sono spunti che rimettono in riga le nostre debolezze nel non voler affacciarci in prima persona perché chi ha il potere spesso disattende i nostri bisogni».
Castellitto rivolto a Zero, dice: «Hai scritto qualcosa che ci accarezza, anche rispetto al dolore terribile di questo conflitto spaventoso». Zero parla della guerra: «Vuole annientare le differenze, non accetta l’individualità, annienta la libertà. Il pianeta non è mai tranquillo, c’era puzza di polvere da sparo anche prima della Russia». Parla dei giovani: «Devono avere fede in loro stessi». E di Pasolini, di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita: «Lo sottovalutai perché ero troppo piccolo per comprenderne il valore. L’ho scoperto tardi e me ne dolgo». Ricorda quando a Zerolandia si celebrava il Natale: «Finivo alle 11.30, poi arrivava il prete. Avrei voluto continuarla quella tradizione, ma il tendone fu sigillato. È stata una violenza criminosa della censura. Anche Gigi Proietti ha pagato cara la voglia di mettersi a disposizione degli altri: la sua scuola fu chiusa, qualcuno prese il suo posto al Brancaccio. Lo abbiamo pianto, ma c’è chi ora ha un problema in meno».
Per i live di settembre al Circo Massimo, sul palco ci saranno orchestra e ospiti. «Mi faccio gladiatore per conquistare ancora una volta l’applauso – commenta Zero —. Abbiamo digiunato per due anni abbondanti. Per me è stato meno doloroso che per altri, perché i miei sorci li vado a cercare per strada. Mi piacerebbe essere lo zingaro che molti conoscono. Ci sono giorni che mi sono sentito straniero a casa mia, a Roma, con una politica sempre più invadente. Perché non mettono il governo a Torino? Saremmo contenti di non essere più la capitale d’Italia. Siamo già la capitale del mondo».