Corriere della Sera, 7 aprile 2022
Come spendiamo i soldi della Difesa
Quando si parla di spesa per la difesa ciò che è importante è la sua struttura: è una valutazione da tutti condivisa che un sano bilancio debba prevedere il 50% per il personale, in pratica gli stipendi; il 25% per l’acquisizione e l’ammodernamento dei sistemi d’arma e il 25% per l’esercizio, cioè per l’addestramento e per la manutenzione in efficienza dei mezzi. In Italia siamo oggi ben lontani da questi valori, con una spesa per il personale ben al di sopra del 70%, il 18% per l’ammodernamento e meno del 10% per le attività addestrative e di manutenzione delle dotazioni. Occorre pure tenere conto della peculiarità dell’Arma dei Carabinieri, che fa parte delle Forze Armate, ma che dipende operativamente quasi interamente dal ministero dell’Interno e le cui spese gravano prevalentemente sul bilancio della Difesa. Atteso che la quota per il personale è incomprimibile, un incremento, come quello sollecitato dal Parlamento, è necessario per riequilibrare le poste di bilancio, in modo da riavvicinarle alle percentuali indicate, con benefici effetti sulla prontezza operativa dello strumento militare e sulla qualità delle dotazioni. Le considerazioni fin qui fatte, tuttavia, peccano di una grave forma di miopia, in quanto centrate su una prospettiva nazionale, mentre dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che solo un’ottica multinazionale, in particolare europea, può consentire un uso efficace delle risorse finanziarie che ciascun Paese destina alla difesa. Molte sono le cause di diseconomie dovute alla frammentazione su base nazionale e qui se ne possono citare due fra le più importanti: il costo delle strutture di gestione e di comando che ciascun Paese deve sostenere, a fronte di un’unificazione delle stesse; la struttura dell’industria della difesa in Europa, gelosamente protetta nazionalmente, con il risultato della moltiplicazione dei tipi per ogni singolo sistema di combattimento e l’impossibilità di ottenere le necessarie economie di scala. Da qui si può capire quanto sia urgente procedere sulla strada della «Unione sempre più stretta» in cui la convergenza in tema di politica estera renda possibile la progressiva integrazione degli strumenti militari. Ciò consentirebbe non solo l’acquisizione di capacità che da soli non si possono ottenere, ma anche di eliminare gli sprechi che riducono in modo inaccettabile il rendimento della spesa militare.