Linkiesta, 7 aprile 2022
Un’oca vale un uomo e anche una sardina
Ci sono molte angolazioni possibili da cui prendere il video che ieri ha rallegrato le nostre altrimenti meste giornate lavorative, il video in cui il Che Guevara italiano (così lo chiamò Stanley Tucci sulla Cnn, spero non ve ne siate dimenticati) ha espresso solidarietà a un altro consigliere comunale per un «fatto increscioso».
Una è: ah, ma tu pensa, Mattia Santori è ancora vivo. Ti ricordi quando le Sardine sembravano il futuro della sinistra, e ora Ciro Cirillo sembra più recente e attuale. Ma certo, è in consiglio comunale a Bologna, come dimenticarlo, è quello che voleva lo stadio del frisbee.
Un’altra è: una volta la musica a Bologna produceva concerti di Guccini in piazza Maggiore, e ora produce concerti della Rappresentante di lista, la politica locale produceva Stefano Bonaga e ora produce Mattia Santori, e questo è tutto ciò che ho da dire del declino delle élite.
Un’altra ancora è: quando i giornali scrivono che qualcosa «è diventato virale», intendono che è la cosa più imbecille che si sia mai vista, o che è la più meritoria? E il fatto che sia impossibile distinguere è forse uno dei grandi problemi del presente?
E, soprattutto, può un’insensibile come me parlare d’una simile tragedia? Proverò a partire dai freddi fatti, sebbene non gelidamente raccontati dai protagonisti.
Sabato scorso Davide Celli, consigliere comunale cinquantacinquenne (ne avesse venticinque saremmo più indulgenti), posta sulla propria pagina Facebook la foto del cadavere d’un’oca, con questa didascalia: «Riposa in pace vecchia mia, il tuo uovo si schiuse davanti agli occhi incantati miei e di mio padre che era accanto all’incubatrice in quel momento, volevamo tanto sapere se Lorentz avesse ragione in merito all’imprinting…. e mio figlio, piccolino, te lo ricordi?… per quanti lunghi anni lo abbiamo accompagnato alla Fermata del bus? Che piovesse o nevicasse, ce ne andavamo via tutti e tre insieme in fila indiana, all’inizio non avevi ancora le penne bianche e sembravi un piumino giallo buono solo per spolverare la tv. Spero che mi perdonerai per non essere riuscito ad arrivare in tempo per salvarti. Ce l’ho fatta, per 14 anni, questa volta, no. Ciao per sempre mia inseparabile amica, ci rivediamo di là, e salutami tanto mio padre». Puntini, maiuscole, nome sbagliato di Konrad Lorenz come nell’originale.
Non voglio sapere perché il padre di Celli avesse l’uovo d’un’oca in un’incubatrice, non voglio sapere se Vasco Rossi abbia già opzionato quel «ciao per sempre», non voglio dire la mia su una società così imbecille da parlare degli animali come fossero umani (andate ad accusarmi di specismo un po’ più in là, qui ho un articolo da finire). Non voglio neanche infierire su Santori che poi su Facebook spiegherà che da una parte c’è lui empatico e dall’altra noialtri mostri, «perseguitatori» (credo intendesse «persecutori»).
Una persona che stimo tempo fa mi ha detto che a lei dell’Ucraina interessano più che altro i cani e i gatti portati in salvo, e io ho capito che eravamo al fondo della sanità mentale e avevamo cominciato a scavare – per gli intelligenti, pensa per quelli medi.
Quello di sabato è, sulla pagina di Celli, l’ottavo status in tre giorni a proposito di queste oche uccise dai cani. Siamo nel tempo che ha abolito le gerarchie emotive, uno vale uno che sia uno sterminio di guerra o un ecosistema in cui gli animali più aggressivi si accaniscono su quelli più deboli. Uno che ti guarda le tette vale come uno che ti stupra minacciandoti di morte, e quindi figuriamoci se un adulto che in campagna vede morire un’oca non può reagire scrivendo pubblicamente questo: «Le mie oche sono state uccise. I cani sono tornati. Ci rivediamo a data da destinare. La mia, partecipazione a qualsiasi iniziativa politica, o meno, è sospesa a data da destinare» (sintassi come nell’originale).
Tuttavia la ridicolaggine sarebbe rimasta circoscritta se non fosse stato per Mattia Santori, un uomo che fa sembrare Carlo Freccero un frate trappista. Santori va in consiglio comunale ed esprime solidarietà per questo «fatto increscioso». Per le oche morte.
«Senza nascondere il dolore per i due animali che facevano parte della famiglia rispettivamente da quattordici e quattro anni». Santo’: so’ oche. Non facevano parte di nessuna famiglia, erano oche. Diamogli atto dell’essere (pensa te) il più lucido in questo lutto che si addice alle oche: persino Santori ha dei dubbi, ma pensa sia perché non è abbastanza sensibile. Si scusa perché non ha animali (che è quasi peggio che essere maschio bianco cis) ed è quindi per lui difficile capire il rapporto «tra un uomo e due oche scontrose e chiassose». Di nuovo – non avrei mai creduto di dirlo ma – Santori, lei in questa circostanza è quello sano di mente: non c’è nessun rapporto da capire, so’ oche.
Poi ovviamente parte per la tangente del delirio poetico, ci pitta questo traumatizzato tizio che per dieci anni ha aperto ogni mattina il cancelletto e la sera l’ha richiuso (è un po’ tipo: gli è morta la moglie per cui ogni mattina metteva su la caffettiera), «ha sviluppato ricordi, immagini, e aneddoti familiari insieme a una coppia di pennuti» (ma dove siamo, in un cartone della Disney?).
La sardina conclude dicendo che è un problema di molossoidi (cioè: di cani grossi e aggressivi) che vengono trascurati dagli umani e finisce che (incredibile, tu pensa a volte la natura) aggrediscono le creature più indifese; ma che non sarà lui a parlarcene giacché spera sia lo stesso Celli «non appena avrà ritrovato la serenità e la passione, a guidarci in un percorso necessario».
Il percorso necessario, temo, non è quello in cui si smette di far finta che sia sano di mente far convivere umani e animali, e farli entrare in bar e ristoranti, per esempio. L’emergenza mi par di capire sia se sbranano un’oca, non se salivano sui tortellini che sto per comprare in un pastificio. Mi pare tutto perfettamente in linea con la gestione d’una città che si adopera per far cantare in piazza quelli che «con il culo ciao ciao», invece che per gestire la raccolta della spazzatura, un settore la cui inefficienza nel quale la rende temibile rivale di quell’altra città, quella della monnezza, delle grattachecche, e delle oche in Campidoglio.