il Fatto Quotidiano, 7 aprile 2022
Dargen D’Amico se ne fotte e balla
Le stanze delle parole. “Eravamo tutti appassionati di hip hop, non importava il ceto sociale. Così capitava di ritrovarci in casa di figure cruciali della politica italiana. I loro figli con noi in una camera a fare barre e freestyle, mentre adi là della parete venivano fondati nuovi partiti. Immaginate quali”. Milano anni Novanta. “Faceva freddissimo, per strada. Intruppati lì a sfidarci per l’ultima rima sul filo di lana, scambiandoci le cassette con le novità americane. Poi, certo, ci consideravano zecche da schiacciare, musicalmente”. Anche Dargen D’Amico al centro della mischia, tra rampolli coi nomi decisivi e i pària dell’hinterland. Tra questi gli speranzosi pivelli Guè Pequeno e Jake La Furia. Lui si faceva chiamare Corvo D’Argento. “Oggi direi a quel me stesso esordiente: continua così, fai bene. Non lasciarti imporre l’altrui visione del futuro, sii meno critico quando ti riascolti”. Dieci album dopo, Dargen – pardon, Jacopo – si ritrova alla vigilia di un nuovo minitour di quattro date, con start il 27 aprile da Napoli, portandosi dietro la scomodità di un ridanciano slogan sanremese, “fottitene e balla”, non esattamente in linea con la cupezza dei tempi. “Sì, ma quel pezzo, Dove si balla, rifletteva lo stato d’animo di quando l’ho scritto, nell’immobilismo pandemico blindato dai lacciuoli di uno Stato civilmente arretrato come il nostro. E poi, se fossimo costretti a rinunciare alle canzoni, o a non salire sul palco perché c’è una guerra, allora non dovremmo farlo mai. Ci sono centinaia di conflitti nel mondo, questo dell’Ucraina è atroce, ma se smettessimo di produrre armi e di venderle le cose andrebbero diversamente”. Meglio concentrarsi sulla musica, se hai il talento da producer di Dargen, che ha contribuito non poco alle avventure di Fedez (“e trovo irrispettoso che storcano il naso vedendo Federico diffondere notizie sulla sua salute con i social”), e che non si offende se lo definiscono “cantautorap”: “Sono cresciuto con Dalla e De André. Credo nella contaminazione, guardate Vasco con Marracash. Due giganti che finalmente hanno spostato in avanti, insieme, vecchi pregiudizi italiani su rock e hip-hop. Ho l’allergia per confini ed etichette”. Non a caso nei suoi dischi, Dargen ha sempre cercato di sparigliare, anche con brani lunghi una facciata intera. Qui, nel nuovo Nei sogni nessuno è monogamo, butta lì un titolo che è un programma. “Il sesso è metafora di tutto, è un acceleratore di domande, una rivendicazione della vitalità che in questi due anni avevamo perso. Nessuno, quando sogna, è morto, questo è sicuro”. A Sanremo, e nell’album, ha azzardato avvicinarsi a La Bambola di Patty Pravo. “Non mi ha chiamato, dopo. Per come l’ho ripensata, così distante dall’originale, avrà faticato a riconoscerla. Nel dubbio, lascio il telefono acceso”.