il Giornale, 7 aprile 2022
Il nuovo Renato Zero
Ci sono artisti che replicano all’infinito. E poi c’è Renato Zero che resta se stesso ma cambia sempre. Ieri, seduto sotto la statua di Marco Aurelio in Campidoglio a Roma, si è mostrato (anche via Zoom) per come è davvero oggi questo Renato Fiacchini detto Zero, quasi 72 anni, inarrestabile ai confini della logorrea, empatico, persino scorretto, sicuramente ancor più bulimico di creatività rispetto a prima. «Avevo bisogno di scrivere un oratorio», spiega presentando Atto di fede, che è il titolo comune per un progetto doppio: libro e doppio cd.
Intanto la musica: sono 19 brani inediti di musica sacra, composti da Zero, orchestrati da Adriano Pennino e affiancati ad altrettanti testi scritti dai neonati «Apostoli della Comunicazione» (ossia, tra gli altri, Baricco, Luca Bottura, Buttafuoco, Castellitto, Cazzullo, Lella Costa, Don Mazzi, Mimun, Giovanni Soldini, Travaglio, Veltroni). I brani, che hanno una luce inedita nella discografia di Renato Zero, portano non soltanto la sua voce, ma anche quella di Manuele Murè, Giacomo Voli e del sorprendente Lorenzo Licitra. «Sono arrivato ad accarezzare Dio da vicino» spiega questa icona della musica italiana che continua a comportarsi da esordiente, quasi avesse bisogno ogni volta di confermare l’affetto del pubblico. Insomma, un Atto di fede non soltanto «verso Dio ma nel nostro operato, nella possibilità di contagiare gli altri, di ritrovare la vicinanza. Il rapporto con Dio è sempre una cosa molto personale». Dopotutto c’è qualcuno più personale di Renato Zero nella storia della musica italiana? Difficile.
Questo disco, anche se chiamarlo disco forse è un po’ riduttivo, conferma che artisti magari non si nasce ma poi, dopo esserlo diventati, si resta fino alla fine, scommettendo sempre, rilanciando comunque, provando a essere sempre nuovi o quantomeno inediti. Atto di fede è un’opera da ascoltare sapendo che è di Renato Zero ma non è la fotocopia del suo repertorio. Non a caso, visto il mezzo secolo abbondante di carriera, lui è autorizzatissimo a spiegare ai giovani artisti che «limitarsi a copiare il compitino non va bene». E che, facendo un riferimento tecnico, «far parlare il plug-in vale molto meno di portare un musicista professionista sul palco». Lo dice anche per presentare i concerti che celebreranno il suo settantesimo compleanno con due anni di ritardo: il 23, 24, 25 e 30 settembre al Circo Massimo di Roma. «Mi faccio gladiatore per conquistarmi ancora una volta l’applauso del pubblico». Anche i Måneskin suoneranno al Circo Massimo il 9 luglio, ma lui e loro giocano in due campionati diversi, ogni confronto di capienza e biglietti venduti è giusto una questione contabile.
«Ogni sera cambierò la scaletta», spiega Renato Zero per omaggiare i (tanti) che parteciperanno a tutti e quattro i concerti. «Con me ci sarà un’orchestra e avrò anche costumi originali. Anzi, forse andrebbe bene anche la foglia di fico, visto che in questi anni ho cambiato così tanti costumi che me ne rimangono pochi altri da inventare». E, parlando di look, l’artista che ha inventato un look dice qualcosa di imprevedibile: «Mi sento sempre più vicini gli chansonnier francesi alla Gilbert Bécaud e alla Charles Aznavour che salivano sul palco con una semplice giacca e poi cantavano anche in maniche di camicia. Dopo tanto tempo, un clown resta un clown anche quando si toglie il costume e questo vale anche per me», dice con quella strepitosa abilità di sfruttare immagini semplici per spiegare idee complesse.
La usa anche per spiegare la difficoltà del restare lontano dal palco a causa della pandemia: «Per me è stato meno doloroso che per altri colleghi, perché ho la capacità di andare a domicilio. I miei sorci io li vado a cercare: al Tuscolo, a Monteverde, nei quartieri di Roma. Posseggo la facoltà di poter essere ovunque: non ho il dono dell’ubiquità, ma ci sto lavorando. Mi piacerebbe essere lo zingaro che molti di voi conoscono. Ho curiosità di incontrarvi al mercato, non per fare le foto, per portarvi nel cuore». In fondo, Renato Zero è proprio questa cosa qui, uno zingaro dell’anima che non ne vuol proprio sapere di tornare a casa.