Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  aprile 06 Mercoledì calendario

Mow contro Oliviero Toscani (il fotografo si lascia intervistare da tutta la redazione di Mow)

Anni fa, in un’intervista al direttore di MOW hai dichiarato: «Non è mica colpa delle donne essere donne, come se fosse colpa dei cani essere cani». Una frase che detta oggi, e in ogni contesto, provocherebbe un putiferio. La useresti ancora? Paragonare una donna ai cani... Certo, la userei eccome, cosa c’è di male? Una donna è una donna, un cane è un cane, uno stronzo è uno stronzo, il Papa è il Papa. 
Le femministe però ti attaccherebbero.
Le femministe hanno tutto il diritto di insultarmi, non mi interessa. Ma io ho tutto il diritto di dire quello che penso. L’unica cosa politicamente corretta è la nostra coscienza. 
Sei un uomo dal carattere complesso, un gran provocatore. Nel corso della tua carriera hai fotografato i più grandi, da Fellini ai Rolling Stones, ma adesso cadi sul titolo del tuo libro, Ne ho fatte di tutti i colori. Banalissimo. 
Questa cosa mi fa male, è un bel titolo invece. Poi dici che sono un provocatore: e allora? Mica è negativo. Forse tu sei un moralista banale e piccolo. 
Nelle campagne con Benetton hai parlato di Hiv, hai ritratto la guerra, il conflitto in Jugoslavia... Non pensi di aver solamente speculato, anche economicamente, su questi argomenti?
Ovviamente, ho parlato di quello che mi interessava. Ma non ho speculato economicamente, lo avrei fatto se avessi detto cazzate.
E di Benetton cosa pensi, oggi, dopo la tragedia del ponte Morandi?
Di Luciano? Un grandissimo imprenditore e un uomo eccezionale. Non ha fatto niente di male in quel contesto, erano soci in minoranza. La tua è la solita domanda da borghese. 
Sei uno dei più grandi fotografi anche in ambito pubblicitario, ma hai sempre sparato sulla pubblicità. Non è un atteggiamento un po’ paraculo?
Tremendamente paraculo. Ma io non ho mai lavorato con le agenzie pubblicitarie o realizzato pubblicità come intendete voi. Non ho mai venduto niente, piuttosto ho affrontato argomenti spinosi, mica ho fatto lo spot delle caramelline. È che voi volete per forza collocare tutto in compartimenti stagni, ragionevolmente e mediocremente comprensibili. 
Più volte hai dichiarato che è fin troppo facile fotografare la guerra, e ora con il conflitto in Ucraina, anche i fotografi amatoriali sono partiti per il fronte. Non credi che sia una mancanza di rispetto, la tua, per chi coraggiosamente si espone?
Ma scherziamo? Questi sono dei mistificatori, col giubbotto antiproiettile si credono dei fotoreporter di guerra. Non hanno mica capito cos’è la fotografia... e non è neanche colpa loro. Per dire, non esiste più un photo editor in un giornale italiano, non c’è più un giornalista che cura la parte iconografica. Non succede che Repubblica decida di dedicare un numero alle immagini della guerra in Ucraina. Pensate, invece, che nel 1974, Rolling Stones decise di riservare un numero alla guerra in Vietnam, e Rolling Stones mica è un quotidiano! Ai tempi chiesero a Richard Avedon, che come piace dire a voi, era un fotografo di moda, di realizzare il servizio. Lui andò col suo fondo bianco, lo mise contro la parete dell’ambasciata, e fotografò dal generale all’ultimo soldatino portatore. Ed è proprio con questa serie di immagini che ti rendi conto di quanto l’America fosse fuori di testa a portare avanti una guerra così. Questo bisogna raccontare con gli scatti.
Quindi di Massimo Giletti, inviato ad Odessa per raccontare la guerra, quindi pensi tutto il male possibile?
Questi non sono giornalisti, sono ballerine dell’informazione.
Ma perché non vai tu a fotografare la guerra?
Ci andrei, ma Repubblica mi deve dare otto pagine.
Una delle tue invettive più forti riguarda la famiglia, che consideri uno dei mali assoluti. Eppure anche tu hai una famiglia molto allargata.
Per questo me ne intendo. La famiglia è una complicazione. Io sono stato fortunato, ma... Dio, patria, famiglia e proprietà, sono la rovina dell’umanità (ride).
Dicci la verità, Putin un po’ ti piace? 
Ma dici sempre cazzate simili? Questa è una domanda da pirla.
Ci andresti in Russia a fotografare Putin?
Sicuro, tutto posso fotografare.
L’ultima copertina che hai realizzato è per Oggi, un bambino con la bandiera dell’Ucraina posizionata sulla lingua come fosse un francobollo o come l’LSD. Perchè la guerra è una droga? 
LSD? È un pensiero che non ho nemmeno contemplato. Ma sei pirla?
È giusto rifornire di armi l’Ucraina?
È giustissimo. I partigiani, altrimenti, cosa avrebbero fatto? Persino Gandhi direbbe di sì. 
Nel tuo libro parli anche del rapporto con tuo padre, che ha ritratto Mussolini anche in atteggiamenti non convenzionali. Ma non c’è giudizio nei suoi confronti... 
Non ho odio per Mussolini, piuttosto giudico, analizzo... Il terrore è un sentimento di una banalità unica, noi siamo vittime di questo.
Oggi chi è il politico più ridicolo?
Noi che li votiamo.
Chi voteresti?
Ragazzi... noi abbiamo delegato e consegnato le nostre vite ai banchieri, perché abbiamo deciso che i soldi sono la cosa più importante per noi. Quindi siamo tutti dei venduti. I trentenni, quarantenni e cinquantenni di oggi sono dei dementi, collaborazionisti... dei maiali. Voi non avete nessun senso della sovversione, bisogna vivere la vita, non consumarla.
Un commento su Draghi?
È un banchiere. Un uomo forte, una figura senza la quale l’italiano medio non si sentirebbe al sicuro. In fondo abbiamo inventato noi il fascismo, ce l’abbiamo nel sangue.
Ma hai mai votato il partito comunista? I radicali?
Il primo fa schifo. Radicali? L’unico radicale al mondo sono io, persino Marco Pannella mi dava ragione.
Intanto anche tu sei stato assessore (a Salemi, Trapani, negli anni in cui Vittorio Sgarbi era sindaco).
Assessore alla cultura, ma non ha funzionato. Eravamo troppo avanti in un Paese mafioso come l’Italia. Sì, la Sicilia è mafiosa, e ancora adesso, ma è l’Italia intera che è mafiosa e fascista.
Ma cosa significa per te essere fascista?
Essere formali, allineati. Il fascismo non è più la camicia nera, è proprio un atteggiamento.
Si può essere consapevoli di ciò che accade nel mondo senza guardare i social o la televisione? Tu hai la TV?
Ho anche le mutande e le scarpe (ride). Ma non è con la TV che mi informo. Quando ho iniziato a fare il fotografo, facevo reportage, riportando le caratteristiche della mia generazione, ossia il rock and roll, la minigonna... Ma gli italiani non capivano, pensavano che non fossi serio. Invece, come un cane da tartufo, seguivo quello che era interessante per i nostri anni. Per tutta la vita ho fatto questo, insomma ho documentato il mio tempo. Quindi, o capisci che ha senso fare questo, o ascolti l’informazione targhettizzata. 
E oggi cosa vale la pena fotografare?
L’inerzia della vostra generazione.
Hai un progetto in comune con Settimio Benedusi, Ricordi stampati, un modo per avvicinare la fotografia alle persone. Ma vi fate pagare 1000 euro per uno scatto... 
E qual è il problema? Andava bene due euro? Quantificate quanto è giusto per la morale comune, visto che secondo voi 1000 euro è immorale.
Così non rischi di fotografare soltanto i ricchi? Un giovane non si può permettere questa cifra.
Forse sì, e forse no. Fotografo i ricchi? E quindi? Mica è immorale. 
Però alla fine così si avvicinano in pochi...
Ma se c’è la coda! Anzi quasi quasi alzo a 5000 euro. 
Lavoreresti gratis?
Succede tante volte, è una scelta però, non una scelta morale. Ho fatto 80 mila ritratti gratis, come mai? Guardando una persona in faccia, si impara sempre qualcosa. Oggi la categoria dei fotografi se la passa male. 
A proposito di soldi... Sei il fotografo italiano che ha accumulato più denaro di tutti. Dacci qualche consiglio di investimento! 
Sì sono decisamente il più ricco, non c’è paragone con gli altri, ma non ho mai lavorato per questo. Ma non ho consigli. Forse l’unico è che, per guadagnare, la prima cosa che devi fare è arricchire la persona per la quale lavori. Non solo economicamente, ma devi dare proprio un valore aggiunto. 
Allora andiamo sul concreto. La copertina dei Måneskin, quanto te l’hanno pagata?
Siete veramente delle serve. Non lo so neanche, non è una balla. Di sicuro quando accetto un lavoro non lo accetto per quanto mi pagano. Valuto il valore del progetto su cui sto lavorando, può essere zero o milioni.
Ma almeno sai quanto hai in banca? 
No, e non voglio neanche saperlo. In banca non ci sono mai entrato e non me ne frega niente.
Non ti sei mai preoccupato di guadagnare qualcosa? Neanche agli inizi? 
A 25 anni avevo già una Jaguar che avevo fatto dipingere di nero, coi vetri neri. Ero un rocker.
Come l’hai pagata?
Fotografando per i giornali, concerti, minigonne, reportage in America... vendevo. In quel momento lì l’editoria necessitava di una certa informazione. Ma ricordo anche le battaglie in Rizzoli per farsi pagare adeguatamente una foto. Non era mica facile... mio padre faceva il fotografo, mentre mia mamma lavorava. Le sue entrate, come reporter al Corriere della Sera, non erano sufficienti. Per voi è diverso, siete dei viziati. 
Inizi a pensare alla morte?
Ma guardate che esiste anche per voi. Non è detto che io sia il primo ad andarmene da qua, attenzione! Può darsi che vi seppellisca tutti.
A 80 anni però è più probabile per te...
Mi fa ridere come cosa.
La Fondazione Toscani chi l’amministrerà?
E chi se ne frega, se non ci sono più... 
Hai già scritto il testamento? Chi si occuperà dei tuoi amati cavalli?
Non l’ho scritto, e che si arrangino. I cavalli non se ne accorgeranno neanche che sono morto, quindi...
Invece, la prima volta che hai fatto l’amore? 
Gratuito, con una ragazzina che faceva la prostituta e si era innamorata di me.
E l’ultima? 
Ahahaha.
Come vorresti morire?
Non da malato, ridendo.
Sulla lapide cosa vorresti scrivere? 
Ma chi se ne frega. Basta. Quando sei morto sei morto.