Corriere della Sera, 6 aprile 2022
Il taccuino rtrovato di Darwin
Il suo valore in denaro (diversi milioni) scompare di fronte al valore scientifico (inestimabile): il taccuino B, appuntato nel 1837 da un giovane Charles Darwin appena rientrato a Londra dal lungo viaggio alle Galápagos con il Beagle, è sicuramente uno dei documenti più importanti della storia del pensiero umano. È stato ritrovato dopo 22 anni di assenza misteriosa dagli scaffali della Biblioteca di Cambridge (l’università dove Darwin studiò, senza troppo successo). Un giallo che permane: la polizia indaga. La scienza festeggia. A pagina 36 compare l’albero della vita più famoso dell’immaginario umano, nonostante il tratto minimalista e stilizzato: è il disegno del primo lampo di luce di Darwin sullo schema dell’evoluzione, quello che ci collega a tutti gli altri esseri viventi (nel frattempo ne abbiamo avuto anche la riprova molecolare: Homo sapiens condivide con gli scimpanzé più del 97 per cento del Dna).
La pagina ha un potere magnetico: Darwin, abbandonato il rollio e il beccheggio del Beagle (e anche le tensioni che si trascineranno per tutta la vita con il comandante Robert FitzRoy, per ironia convinto sostenitore della versione biblica dell’origine della vita), si fermò e mise a fuoco l’immagine dell’albero. Non a caso la pagina inizia con «I think», «Io penso». Insieme al taccuino B della cosiddetta serie rossa, dal colore della copertina di pelle, è stato ritrovato anche il taccuino C. Riconsegnati, sarebbe il termine giusto. Perché all’interno della biblioteca non c’erano più. Erano stati a lungo cercati fino ad arrivare nel 2017 alla denuncia alla polizia e a un appello pubblico. Un miracolo del senso di colpa potremmo definirlo, perché ha funzionato. Lo scorso 8 marzo una mano misteriosa ha depositato sul pianerottolo di fronte alla biblioteca una busta con su scritto «happy Easter», buona Pasqua. Dentro, incellofanati e in ottime condizioni, c’erano i due taccuini che verranno messi in mostra a Londra a luglio.
Il taccuino rosso e il taccuino A, su argomenti geologici, sono gli unici cominciati dal naturalista durante il viaggio di ritorno. La serie continua anche dopo il quadernetto C (gli altri sono sempre stati al sicuro). Ma non c’è dubbio che la potenza iconografica dell’albero della vita del taccuino B non tema confronti: Darwin, scomparso il 19 aprile del 1882, impiegherà altri 22 anni a pubblicare «L’origine delle specie» nel 1859. Nella prima edizione c’è anche un refuso: speces, al posto di species. Fu un successo (per l’epoca) immediato.
Il lungo lasso di tempo si deve al fatto che il naturalista non era un uomo particolarmente ordinato e voleva accumulare più dati. Ma anche al timore nel rendere pubblica la sua teoria che contraddiceva vistosamente i convincimenti della teologia naturale dell’epoca e che soprattutto non sarebbe piaciuta a molti suoi colleghi. Si decise solo per evitare di ritrovarsi secondo: una teoria simile era stata sviluppata dopo di lui dal più giovane Alfred Russel Wallace. Le idee di entrambi furono presentate il primo luglio del 1858 alla Linnean Society di Londra dal mentore di Darwin, Charles Lyell.
Nei tredici mesi successivi Darwin scrisse in tutta fretta il suo capolavoro, che è debitore verso quei primi taccuini giovanili. Come ebbe poi a dire Sigmund Freud, fu uno dei momenti di rottura del narcisismo dell’umanità: ci credevamo al centro dell’universo quando arrivò Copernico e ci disse che ci sbagliavamo. Ci ponemmo allora al centro della natura quando arrivò Darwin e ci insegnò che siamo grandi scimmie e cugini di tutti gli altri animali. Infine, ci rifugiammo al centro della mente quando lo stesso Freud ci diede l’ultimo colpo mortale: anche nella mente siamo subalterni a forze che non controlliamo. Chissà se è stato proprio l’inconscio a dettare a quella mano sconosciuta di restituire i preziosi taccuini.