Corriere della Sera, 6 aprile 2022
Onu, la gabbia dei veti
Anche questa volta, messo di fronte all’invasione dell’Ucraina, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha mostrato la sua impotenza. Sabato 26 febbraio si è riunito per discutere una risoluzione contro l’aggressione russa e il 5 aprile per condannare il massacro di Bucha. Inevitabilmente, non è riuscito ad adottare una risoluzione nella prima riunione e a condannare formalmente la Russia nella seconda. Inevitabilmente, perché l’oggetto in discussione riguardava il governo di Mosca, uno dei cinque membri permanenti del Consiglio stesso, i cinque che vinsero la Seconda guerra mondiale e che dispongono del potere di veto sull’adozione di ogni documento.
Il diritto di veto
Il Consiglio di Sicurezza è uno dei sei maggiori organi dell’Onu. È composto dai rappresentanti di 15 Paesi: dai cinque Permanenti – Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia – e da dieci eletti a rotazione che rimangono in carica due anni ma che non hanno diritto di veto. Nelle dispute tra Paesi, il Consiglio cerca prima la conciliazione. Ma di fronte a un conflitto può emettere direttive di cessate il fuoco e inviare missioni di peacekeeping. Se non basta, può decidere sanzioni economiche, embargo sulle armi, restrizioni finanziarie, rottura delle relazioni diplomatiche, embarghi. Infine, azioni militari collettive. Il diritto di veto, però, ha fatto sì che, sin dalla sua creazione nel 1945, l’Onu non sia stata in grado di impedire alcun conflitto iniziato da uno dei cinque membri permanenti.
Corea del Nord e guerra del Golfo
In epoca di Guerra fredda, il Consiglio di Sicurezza ha approvato solo due risoluzioni che contemplavano l’uso della forza. La prima, sulla Corea del Sud invasa da quella del Nord nel 1950. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunì e approvò le risoluzioni 82 e 83 con le quali condannava «l’attacco armato sulla Repubblica di Corea da parte delle forze della Nord Corea», chiedeva alle «autorità della Nord Corea di ritirare le loro forze armate al 38° parallelo» e raccomandava all’Onu di aiutare la Corea del Sud a respingere l’attacco. Le risoluzioni non ebbero voti contrari dei Cinque: nel 1950, il seggio della Cina era occupato dalla Repubblica di Cina, cioè Taiwan, non da Pechino che se lo prenderà solo negli Anni Settanta. Taipei (Formosa) votò a favore. La Russia non c’era alle riunioni proprio perché stava boicottando il Consiglio di Sicurezza a causa del riconoscimento di Taipei e non di Pechino. La risoluzione fu completamente ignorata dalla Corea del Nord, da Mosca e da Pechino, che continuarono ad armare Pyongyang per tutta la guerra successiva che terminò soltanto nel 1953. Finito il suo boicottaggio del Consiglio di Sicurezza, l’Unione Sovietica impose il veto su ogni risoluzione riguardante la Corea del Nord.
Il secondo caso riguarda la prima Guerra del Golfo. Il 2 agosto 1990, l’Iraq di Saddam Hussein invase il Kuwait. Il Consiglio di Sicurezza approvò una mozione (660) che chiedeva il ritiro delle truppe di Bagdad. Dopo avere riaffermato la richiesta in altre dieci risoluzioni, il 29 novembre 1990 il Consiglio approvò la numero 678 che invocava il Capitolo VII delle Nazioni Unite, quello che stabilisce un atto di aggressione che interrompe la pace e autorizza l’uso della forza per restaurarla. Pechino si astenne. L’Unione Sovietica, già in fase di disfacimento, votò a favore. L’operazione militare («Desert Storm») fu poi guidata dagli Stati Uniti, con una coalizione di 35 Nazioni, iniziò il 17 gennaio 1991 ed entro febbraio era terminata con la restaurazione dell’Emiro in Kuwait e la sconfitta dell’Iraq.
Dopo la caduta del Muro
Negli Anni Novanta, caduta l’Urss, il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato l’uso della forza in tre casi. In Somalia, con l’operazione «Restore Hope» nel 1992, nessun voto contrario: la guerra civile nel Paese era sfuggita di mano alla missione umanitaria (peacekeeping) dell’Onu e il Consiglio di Sicurezza autorizzò l’intervento armato di una forza multinazionale (guidata dagli Usa).
Bosnia, Haiti, Kosovo
Nel 1993 in Bosnia Erzegovina. Il 15 aprile il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approvò una risoluzione (819) nella quale si stabiliva, per la prima volta, una safe area: a Srebrenica e zone circostanti, dove unità paramilitari serbo-bosniache attaccavano civili, forze dell’Onu e convogli di aiuti. La missione umanitaria dell’Onu per fermare la pulizia etnica – condotta dall’Unprofor, United Nations Protection Force – fu un fallimento quando Srebrenica fu presa dalle milizie di Radko Mladic nel luglio del 1995. Nel genocidio furono uccisi ottomila musulmani bosniaci. A quel punto, la risoluzione 1031 che creava la forza Ifor fu adottata all’unanimità.
Ad Haiti nel 1994 per «restaurare la democrazia» nel Paese. Una giunta militare aveva spodestato il presidente Aristide e il governo. Fu autorizzata una missione militare multilaterale guidata dagli Usa. Nessun voto contrario, Pechino astenuta.
Anni 2000: Afghanistan, Iraq e Libia
Negli anni 2000 il Consiglio ha affrontato una lunga serie di casi rilevanti. Afghanistan. Il giorno dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, il Consiglio di Sicurezza adottò la risoluzione 1368 che chiedeva a tutti i Paesi di assicurare alla giustizia i responsabili dell’atto terroristico e di aumentare gli sforzi per eradicare il terrorismo internazionale. Gli Stati Uniti e alleati intervennero in Afghanistan già in ottobre. La risoluzione 1386 del 20 dicembre 2001 creò la «International Security Assistance Force» (Isaf), formazione militare multinazionale che aveva il compito di assistere gli afgani a costruire istituzioni. L’Isaf diventò poi parte della guerra contro i talebani. Invasione dell’Iraq. L’accordo tra i Grandi Cinque durò poco. Tra il 2002 e il 2003, una serie di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza avevano riguardato l’Iraq. Il 5 febbraio 2003, il segretario di Stato americano Colin Powell fece una (debole) presentazione al Consiglio e sostenne la presenza di armi di distruzione di massa. Ma tre membri permanenti si dissero non convinti: Cina, Russia, Francia. La risoluzione fu ritirata. L’invasione dell’Iraq iniziò il 19 marzo 1993 con una «Coalizione di volonterosi» formata alla fine da 49 Paesi.
Il cessate il fuoco in Libia nel 2011 (approvato ma non rispettato da Gheddafi) formò la base legale per l’intervento militare nella guerra civile libica. Fu approvato con l’astensione di Cina e Russia. Parigi e Londra iniziarono i bombardamenti, poi la Nato assunse il comando dell’operazione.
Veti su Siria e Ucraina
Nel 2011, di fronte alla repressione dell’opposizione in Siria da parte di Bashar Assad, alcuni Paesi presentano una risoluzione per condannare «le gravi e sistemiche violazioni dei diritti umani» e per minacciare azioni. La risoluzione fallì per il veto di Mosca e Pechino. Nel 2014, la condanna dell’annessione russa della Crimea non viene accolta per l’ovvio veto di Mosca. Dal 1972, sul conflitto Israele-Palestina e territori occupati gli Usa hanno messo il veto su 29 risoluzioni. Mentre negli ultimi 30 anni sulle questioni mediorientali e Siria la Russia ha votato «no» 17 volte.
La riforma impossibile
In totale, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che consentono l’uso della forza in situazioni di grave crisi sono state sette, dal 1945. Quando sono in gioco interessi anche di uno solo dei cinque membri permanenti, il Consiglio di Sicurezza non è in grado di fare nulla. Non è una questione tecnica. È che l’equilibrio raggiunto alla fine della Seconda guerra mondiale è finito da tempo e ora la competizione tra potenze è riemersa fortissima. Lo spirito di potenza prevale sullo spirito dell’unità delle Nazioni.
Pensare a una riforma del Consiglio di Sicurezza è purtroppo naif. Di fatto, il Consiglio è oggi un forum di scontro dove viene reso evidente al mondo come si schierano sui diversi grandi problemi le Nazioni più potenti. Un piccolo passo di valore politico, in giorni in cui si decide della Sicurezza in Europa, potrebbe farlo la Francia cedendo alla Ue il suo seggio permanente.
Al Consiglio di Sicurezza di ieri, Volodymyr Zelensky ha chiesto che alla Russia venga tolto il diritto di veto.