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 2022  aprile 06 Mercoledì calendario

Ritratto di Laura Pausini

La star perfezionista è rimasta la ragazza di provincia che quando torna a Solarolo chiede agli amici: «Allora, che novità ci sono?». Nel film Laura Pausini – Piacere di conoscerti di Ivan Cotroneo, da giovedì su Prime Video, la cantante si racconta e si sdoppia. Partendo dalla domanda: “Chi sarei stata se non avessi vinto Sanremo?”, ci fa conoscere l’altra Laura, quella che sarebbe potuta diventare senza la fama. Un’architetta forse, o una ceramista, mamma di un bambino: è Pausini a interpretare se stessa. «Alla fine faccio incontrare le due Laure» spiega, «canto Destinazione paradiso nel locale e ci sono io a San Siro: l’unica differenza è il numero degli spettatori».
Non è un dettaglio, verrebbe da dire. La vittoria con La solitudine al Festival di Sanremo nel 1993 cambia tutto, arriva il successo mondiale (70 milioni di dischi venduti), poi il desiderio di maternità. Realizza il sogno con Paolo Carta, diciassette anni insieme, oggi la figlia Paola ha 9 anni («l’incontro più bello della mia vita»). Laura s’interroga e la madre Gianna le dice una cosa molto saggia: «Se la medaglia è grande, l’altra faccia della medaglia è ancora più grande». Vince il Golden Globe con la canzone Io sì e festeggia in famiglia; vola a Los Angeles perché è candidata all’Oscar con la canzone. Non vince, a casa il padre Fabrizio con cui cantava nei pianobar è un po’ deluso. C’è il compagno al suo fianco, mangiano felici un hamburger in macchina. Nel film – di cui è autrice con Cotroneo e Monica Rametta – ricorda che quando aveva trionfato ai Grammy, nel 2006, aveva festeggiato da sola mangiando un hamburger in albergo. «Questo film non è autocelebrativo, racconto le mie sliding doors» spiega Pausini, «non ho mai sognato di essere famosa, sono nata in un piccolo paese, non c’era questa frenesia. Ho fatto pianobar col babbo, ero attratta dalle sfide. Poi la Warner mi ha iscritta a Sanremo, ero talmente ingenua che chiedevo autografi a tutti i big, per portarli a scuola. Quando sono tornata a casa i fan dormivano nelle tende, babbo ha detto: “Facciamo diventare la casa il tuo fan club”. Ora è diventato un museo e sembra che sia già morta». Ride. Aveva un obiettivo: «Spiegare che dal mio punto di vista di persona conosciuta la felicità non è dovuta ai premi o ai privilegi, non è questo che mi fa sentire realizzata. La nuova generazione dovrebbe capire che anche se ci insegnano che bisogna vincere, per essere realizzati non è necessaria la fama. Non essere stati educati alla sconfitta è un grandissimo errore. Mia figlia ha avuto la fortuna di vedermi nella vittoria e nella sconfitta: ero sempre io». Non sogna di fare l’attrice. «Franco Zeffirelli venne a Pavarotti& Friends a chiedermi se volevo fare Maria Callas. Gli ho detto di no, mi piace il mio mestiere. Se avessi vinto l’Oscar? Sarebbe uguale. Ho 47 anni, comincio a sentire pressioni perché non sono più giovanissima: nella pandemia ci siamo chiesti se abbiamo fatto tutto fino a qui. C’è ancora molto da conoscere, da vecchia farò altre cose. Quando ho firmato il primo contratto, nonostante avessi vinto Sanremo, prevedeva che un disco raggiungesse le 30 mila copie con il 4% di royalties, un uomo aveva tre dischi e l’8%. Dicevano: le donne non vendono. Ci sono nazioni in cui le riviste femminili dopo i 40 anni non ti danno più la copertina». Dal 12 maggio a Torino la aspetta l’Eurovision con Mika e Alessandro Cattelan, dicono che faccia capricci da primadonna. «Chi mette in giro certe voci? Capisco che si debba creare movimento, ma è folle. Hanno scritto che voglio indossare tanti vestiti, non è vero. L’Eurovision ha dato le regole: le conduttrici si cambiano quattro volte a serata. Ho chiesto: c’è il tempo? Ho trattato, farò tre cambi. Non so perché girano queste chiacchiere».