la Repubblica, 6 aprile 2022
Un cristo coi chiodi di gomma. Quando non si crede più a niente
E io che mi ero illuso che la scelta fosse fra Putin e Zelensky. No, la scelta è ancor prima un’altra, ben più radicale: credere o non credere. A cosa? A tutto. All’evidenza. Che evidenza non è, ma artificio dell’evidenza, ovvero illusionismo. Farti credere all’incredibile. E dunque, come si applica l’illusionismo a una guerra? Con il makeup, con la cartapesta, con il sangue finto, da Carnevale.Cadaveri? No, sono manichini. La donna incinta dell’ospedale di Mariupol? Una figurante. Insomma, la guerra è un gigantesco set, tanto più che Zelensky faceva l’attore, e quindi conosce il mestiere.Sottotesto: se ci credi, se ti indigni, se ti schieri, sei un povero ingenuo e presto si riderà di te. Ecco, poiché ogni causa determina un effetto, alla fine ci siamo arrivati: abbiamo sotto gli occhi quale sia il disastro del fenomeno delle fake news, troppe volte derubricato a boutade o a hobby di fannulloni da tastiera. Quante volte abbiamo sentito circoscrivere, con altezzoso snobismo, i complotti e i dietrismi, le congetture, i ribaltamenti, le paranoie di cui pullula la rete? La frase ricorrente era “suvvia, a questa roba chi può crederci?”, con la conseguenza che ogni post delirante, ogni video, ogni pseudo-inchiesta finivano per essere archiviati nel cassetto delle astrusità, talora perfino divertenti per noi illuminati dal sacro raggio del raziocinio. Intanto, però, nella somma quotidiana e planetaria di distorsioni e forzature, prendeva forma l’assunto di fondo che tutto può essere alterato, che la realtà coincide con il suo racconto, e che basta un artificio nel montaggio per capovolgere il senso di un fatto, rendendo la vittima carnefice e viceversa. Il risultato, già visibile durante la pandemia, è definitivamente sbocciato come un germoglio in questa primavera bellica del 2022: non crediamo più a niente, tutto è messinscena, non esistono notizie ma solo versioni di parte. Il dubbio ormai è il primo ingrediente, e diffidare è un mantra, perché ogni minuto assistiamo al rimbalzare fra un’immagine e la sua puntuale demistificazione. E allora salta in aria l’ospedale di Mariupol? No, erano tutti attori travestiti. Un razzo centra il teatro con dentro i rifugiati? Ma no, era una commedia (non per nulla si parla di teatro). E ancora: si cammina fra i corpi ammazzati nelle strade di Bucha? Figuranti. E nel dubbio tramonta così la compassione, svanisce la pietà, a trionfare è una specie di quiz: stavolta sarà vero o no? Intanto che ci penso, non mi schiero, per evitarmi retromarce. Anzi sai che c’è? Appena mi mostrano un’immagine dal fronte, il mio primo livello di lettura sarà la ricerca forsennata di un errore che riveli il posticcio, come il celebre orologio al polso di Charlton Heston in Ben Hur.Vince chi lo vede per primo, e prende 1000 punti.C’era una volta un tempo in cui il giornalismo raccontava le tragedie, e l’opinione pubblica inorridiva costringendo spesso la politica a sterzare (chi non ricorda la foto da Soweto, nel ’76, che nel corpo esanime di quel bambino morto fece smuovere il mondo contro l’apartheid?). Al contrario, lo tsunami di falsità che ha inondato il web da almeno un ventennio, ha determinato un “Truman Show” collettivo in cui le bare di Bergamo erano solo attrezzeria, le ambulanze del Covid correvano vuote come a Cinecittà, e adesso l’Ucraina martoriata è il capolavoro di un qualche George Lucas. Dieci giorni prima della Pasqua cristiana, è questo il vero nuovo calvario, forse il peggiore mai visto, quello in cui Cristo non solo viene crocifisso, ma nessuno né lo piange né gli crede né lo soccorre, perché forse i chiodi sono di gomma e il sangue è succo di pomodoro.