la Repubblica, 6 aprile 2022
L’impero di Msc
Gianluigi Aponte, sorrentino classe 1940, orfano di padre fin dall’età di cinque anni, fondatore della multinazionale Msc, il 4 marzo scorso era accreditato dalla rivista Forbes di un patrimonio da 17,9 miliardi di dollari. Ma, al contrario di molti oligarchi russi che ostentano ricchezza a colpi di mega yacht, lui se ne sta rintanato a Ginevra, conducendo una vita senza sfarzi, a dirigere le operazioni del suo impero, nonostante già da diverso tempo abbia ceduto il timone operativo al figlio Diego e alla figlia Alexa. Un percorso incredibile il suo, se si considera che è partito da una famiglia di piccoli armatori che facevano servizio nel Golfo di Napoli: il colpo di fulmine arriva incontrando Rafaela Diamant, passeggera su una nave di cui lui era il comandante. Decide così di lasciare la sua parte di azienda al fratello e di trasferirsi a Ginevra con quella che diventerà sua moglie e la madre dei suoi figli.
Ma la stoffa dell’imprenditore se la porta con sè. Inizia a lavorare in banca e ben presto riesce a convincere alcuni facoltosi clienti a investire sulle navi da trasporto commerciale. Msc è oggi un’impresa di livello mondiale anche se non è noto quanto fatturi esattamente, essendo privata al 100% ma non produce un bilancio consolidato. Aponte però non ha dimenticato l’Italia, degli oltre 100mila dipendenti odierni di Msc almeno 15mila sono italiani, e il suo attaccamento alle origini si è colto quando nei primi anni ‘90 ha rilevato ciò che rimaneva della mitica flotta Lauro, trampolino di lancio nel business delle crociere.
Ora Aponte all’alba degli 82 anni si sta giocando la sua partita più importante, far diventare Msc un player globale con anima europea, integrato verticalmente e in grado di tenere botta all’avanzata dei colossi statali cinesi, in un quadro geopolitico in fase di profonda trasformazione.
Per farlo sta manovrando su diverse leve: da gennaio di quest’anno Msc è diventata il primo operatore mondiale nel trasporto di container, superando la danese Maersk. Poi si è rafforzato prepotentemente nell’Africa francofona comprando per 5,7 miliardi le attività portuali e logistiche del gruppo Bolloré. Mentre a febbraio è sceso in campo insieme a Lufthansa per acquisire una quota di maggioranza di Ita. Infine ha sottoscritto un aumento di capitale da 80 milioni per permettere al gruppo Moby della famiglia Onorato di salvarsi dal fallimento la Tirrenia.
Tutto ciò è reso possibile sia dalla grande cavalcata in sella alla globalizzazione, dopo la grande crisi del 2008-2009, ma soprattutto dal boom degli ultimi due anni: la pandemia ha fermato le crociere, il commercio ha rallentato ma quando l’attività è ripresa si è portata dietro un’esplosione di domanda che si è scontrata con le strozzature dal lato dell’offerta. Non si trovavano container vuoti, i porti erano ingolfati, i viaggi delle navi duravano di più, e tutto ciò ha fatto sì che i prezzi dei noli salissero alle stelle consentendo alle società marittime ben strutturate di realizzare utili da capogiro. Una congiuntura che dura tuttora, vista la recente chiusura del porto di Shanghai e le ricadute della guerra in Ucraina.
Con gli utili degli ultimi due anni alcuni analisti parlano di una decina di miliardi – Msc ha potuto sobbarcarsi senza problemi il costo dello stop alle crociere, circa un miliardo all’anno, e investire nella filiera che dal trasporto marittimo passa per i terminal terrestri, la logistica, il trasporto ferroviario e il trasporto aereo. L’integrazione verticale è la carta vincente: l’hanno capito anche i danesi di Maersk che stanno seguendo la stessa strada, i tedeschi sono forti nella logistica terrestre soprattutto con Deutsche Bahn, gli americani hanno un colosso dell’e-commerce come Amazon, le società leader nelle crociere come Carnival e Royal Caribbean. Ma non hanno l’attività cargo dove prevalgono europei e asiatici. Con Ita, Msc può aggiungere un tassello importante sviluppando sinergie con i turisti delle crociere, un milione di passeggeri all’anno che si spostano anche fuori Europa. Mentre Malpensa potrebbe diventare un hub cargo di cruciale importanza. Facendo da ponte con l’Africa, dove la popolazione in trent’anni potrebbe crescere da 1 a 2 miliardi e l’economia crescere del 4-5% all’anno.