Avvenire, 6 aprile 2022
Serie A rovinata dalla legione straniera
Sono ancora tra noi. Come prima, più di prima. Molti di più, un’enormità tale da aver assunto i contorni di un’invasione. Stranieri brocchi, di piede dozzinale, figurine di contorno: per brevità chiamati Bidoni. Calciatori provenienti dalle lande sudamericane o dai fiordi nel Nord Europa, pagati a peso d’oro o comprati al mercato delle pulci. Anonimi mestieranti arrivati in saldo, al soldo di procuratori col portafoglio gonfio. Breve inciso: all’ultimo report pubblicato dalla Figc emerge che i club di Serie A nell’anno solare 2021 hanno sborsato per gli agenti 174 milioni, con un aumento del 36% rispetto all’anno precedente. Nel dibattito del dopodisastro è stata individuata nella presenza dei troppi stranieri - in Serie A ogni settimana la percentuale di stranieri utiliz- zati si aggira attorno al 62% - l’origine di tutti i mali. Il grido d’allarme lo ha lanciato anche il ct azzurro Roberto Mancini che dopo l’uscita di scena dai prossimi Mondiali (eliminati dalla Macedonia del Nord) ha denunciato a discolpa del movimento nazionale: «Credo che ci siano calciatori italiani molto bravi, sicuramente più bravi di tanti stranieri che giocano al posto loro». E in effetti l’Armata Brancaleone degli stranieri in cerca d’autore impressiona per la quantità e per la mediocrità dei suoi esponenti. La domanda che inevitabilmente innescano è sempre la stessa: ma perché l’hanno comprato? Prendete Vedat Muriqi, 20 milioni sborsati nel 2020 dalla Lazio per questo “Luther Blisset 2.0”: un anno e mezzo di tentativi ripagati da un solo gol. Mossa dalla disperazione, la Lazio a gennaio l’ha dato in prestito al Maiorca. Medesimo il destino del suo compagno di squadra: lo slovacco Denis Vavro, difensore per mancanza di prove. Ora gioca nel Copenhagen e a Roma ancora si chiedono: vuoi che nel Fiorenzuola o nella Fidelis Andria non ci fosse un centrale più affidabile? Altro esempio: il brasiliano Kaio Jorge. 20 anni, scuola Santos, tra cartellino e commissioni, la Juve ha speso quasi cinque milioni e mezzo: nemmeno una partita da titolare gli ha concesso Allegri, solo nove apparizioni, e parliamo di un minutaggio assai scarso. Chi può davvero dire se il ragazzo ha del talento o no? Del russo Aleksandr Kokorin si sono perse le tracce. Preso per scommessa dalla Fiorentina, si è visto in campo per una manciata di partite. Ha appena compiuto 31 anni e - al netto di una fedina penale da “Peaky Blinders” - nessuno ricorda highlights straordinari che lo riguardano: però la Fiorentina un anno fa ha pensato a lui, vai a sapere il perché. Sono tempi desolanti. I reiterati fallimenti della nostra Nazionale si spiegano anche riavvolgendo il film dell’horror che riguarda i Bidoni apparsi e scomparsi in Serie A nel decennio 2010-2020. Ne abbiamo visti a frotte, di tutte le risme. Due per tutti: l’impresentabile Bendtner che come stelletta al merito può raccontare di aver fatto delle avances ad una hostess in diretta tv durante una Coppa vinta dalla Juve (lui era in panchina, va da sé), l’improponibile Gabigol che nel suo periodo interista si fece notare solo per un drastico cambio di look. La storia ci dice che per ogni Vlahovic che si impone a suon di gol ci sono dieci-venti replicanti che dopo tre dribbling mancati finiscono in un cono d’ombra. Samuel Mràz tra un paio di mesi compie 25 anni, è un attaccante slovacco che ad inizio carriera viene paragonato nientepopodimeno che a Luis Suarez, l’implacabile goleador uruguaiano. Mica vero. È passato per la Spezia, il tempo di essere bocciato e mandato altrove. Però - nel mentre - ha tolto un’opportunità a un ragazzo cresciuto in uno dei nostri sgarrupati vivai. Lo straniero costa meno, gonfia solo il portafoglio dell’agente che lo scova, lo inserisce nel suo menù e lo propone ai nostri pigri dirigenti. Il mitologico Luis Silvio che nel 1980 arrivò alla Pistoiese viene sempre ricordato come il “Bidone dei Bidoni”, ma era unico, distinguibile, un’anomalia tra tanti campioni. Oggi i fuoriclasse non sono pervenuti e di Luis Silvio ce ne sono talmente tanti che finiscono presto nell’oblio. Fotografando le prime 10 squadre di Serie A ci si accorge che i centravanti italiani che giocano titolari sono solo due: Immobile (Lazio) e Scamacca (Sassuolo), ovvero il passato e il futuro della nostra Nazionale. Altra scelta non c’è. E il presente è grigio. Avanti dunque: al di là del nome che mette allegria, l’olandese originario del Suriname Ridgeciano Haps, gioca nel Venezia ed è un terzino assai impacciato; mai come il portiere della sua squadra, il finlandese
Niki Maenpaa, 37 anni e un paio di papere colossali da quando difende (ehm, ehm) la porta dei lagunari. Ok, viviamo tutti in un villaggio-globale, ma - ripensando alla povertà dei giocatori ’azzurrabili’ - detto con tutto il rispetto c’era davvero bisogno nel nostro campionato di un portiere finlandese? Il gallese della Juve Aaron Ramsey - è stato un flop epocale e un rischio simile - finché Allegri non gli ha dato fiducia più per necessità che per scelta - stava per correrlo Arthur. E comunque: 7 milioni di euro all’anno per due anni, tanto ha intascato Ramsey. Almeno lui qualche volta è sceso in campo. Facciamo un giochino: chi si ricorda di Aleksandar Kolarov? Dubbio: ma non aveva già smesso? No. A 36 anni sta osservando il declino della sua carriera sulla panchina dell’Inter, a 6 milioni l’anno. Chiudiamo con l’Udinese, che mediamente gioca con 10/11 stranieri. L’unico italiano, spesso, è solo il portiere Silvestri. Non che in panchina vada meglio. Gli italiani sono sempre in minoranza. Qualcuno se la cava dignitosamente, altri risultano poco più che decorativi. Il nigeriano Isaac Success è - nominalmente - un attaccante. Domandina facile: quanti gol ha segnato dal 2016 ad oggi, ovvero negli ultimi sei anni giocando con Watford, Malaga e Udinese? Risposta: quattro. Quattro gol in sei anni. Alla Nanni Moretti: continuiamo così, facciamoci del male.