il Giornale, 6 aprile 2022
La nazione spirituale di Il’in che ispira Putin
Dall’inizio della guerra assistiamo ad un tentativo quasi maniacale di identificare le coordinate culturali di Putin. E gli interrogativi che si agitano sono sempre gli stessi: chi ha influito sulla sua formazione? Quali i riferimenti religiosi, storici, filosofici?
A leggere le cronache il ruolo di ideologo sarebbe ascrivibile al solo Alexandr Dugin. Tuttavia, se volgiamo l’attenzione più in profondità, una connessione tangibile, anzi diretta, la troviamo con Ivan Aleksandrovic Il’in (1883-1954), autore di una ventina di libri in russo e altri venti in tedesco. Espulso nel 1922 dalla Russia, dimorò in Germania, Austria e infine in Svizzera, dove morì. Da noi è un pensatore quasi del tutto sconosciuto ma è citato in diverse dichiarazioni ufficiali da Putin che lo definisce un eroe. Su di lui esce ora un agile saggio (Ivan Il’in. Il filosofo del neozarismo di Putin, Italia Storica, pagg. 71, euro 10) scritto da Timothy Snyder, studioso non ascrivibile ad alcuna corrente sovranista o nazionalista e radicalmente critico verso Trump e Putin. Libretto corredato in Appendice da un apparato fotografico ma soprattutto da due scritti politici, inediti in italiano, tratti dalla raccolta Nashi Zadachi («I nostri compiti») che Putin in varie occasioni ha distribuito ai suoi capi militari e ai governatori. La filosofia di Il’in non punta ad arzigogolare («La politica è l’arte di identificare e neutralizzare il nemico», scriveva nel 1948) e quando si fa riferimento a lui si parla soprattutto di fascismo cristiano russo anche se, col termine fascismo – spiega Andrea Lombardi, curatore dell’opera dobbiamo ricomprendere ogni possibile sinonimo (totalitario, illiberale, nazionalista o perfino bigotto). L’obiettivo è quello di ammantare il totalitarismo di «una giustificazione metafisica e morale». Siamo infatti di fronte ad una sorta di determinismo al contrario dove l’incedere della Storia, dalla Creazione in poi, viene inteso come caduta e regressione. Dalla regressione scaturirebbe un caos utile a mantenere Dio in esilio e alimentare una civilizzazione «peccaminosa e colma di difetti». Dinnanzi ad una simile disgrazia, l’unico rimedio sarebbe una nazione capace di porsi da guida politica e con la missione di «riparare il mondo».
Queste tesi iniziano a circolare diffusamente solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica e a farne continuo ricorso è Putin, che in esse trova un deciso riferimento ideale. Nel 2005 menziona Il’in nei discorsi all’Assemblea federale della Federazione. Nello stesso anno organizza il ritorno delle spoglie del filosofo a Mosca, fa visita in forma solenne al cimitero e depone un mazzo di fiori sulla tomba. Nel 2012 lo cita in varie occasioni, riproponendone la tesi centrale: «La Russia come organismo spirituale serve non solo tutte le nazioni ortodosse e le nazioni delle terre dell’Eurasia, ma tutte le nazioni del mondo». Due anni dopo, cita brani da Libertà per la Russia. Anche qui, il concetto è inequivocabile: la libertà per i russi non andrebbe concepita come libertà per gli individui ma come libertà di sentirsi parte di un tutto e il sistema politico dovrebbe generare, come aveva chiarito Il’in, «l’unità organico-spirituale del governo con il popolo, e del popolo con il governo». Piccola curiosità: fu la Cheka, l’antenata del Kgb, ad espellerlo dall’Unione Sovietica. Per Il’in, la fondazione dell’Urss era stata la malattia della Russia e riteneva che agli ufficiali del Kgb dovesse essere vietato l’entrare in politica dopo la fine dell’Unione Sovietica.