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 2022  aprile 05 Martedì calendario

Massimo Giletti e il giornalismo di guerra

Quando si parla di conflitti irrisolti andrebbe analizzato quello di Giletti col giornalismo di guerra perché c’è una balcanizzazione mai risolta dentro di lui tra trash e sensazionalismo di cui l’Unione europea o la Nato o un bravo specialista prima o poi si dovranno occupare.
Per chi si fosse distratto, questa settimana Massimo Giletti è tornato in Ucraina, a Odessa, per documentare sul fronte la Zeta dell’esercito di Putin con la Acca delle Hogan ai suoi piedi. Roba che uno si chiede cosa abbia fatto il popolo ucraino di male per subire l’invasione di Giletti dopo quella dei russi. Il prossimo sarà Godzilla dal Mar Nero, di questo passo.
Fatto sta che anche ieri sera Massimo Giletti detto ormai “Massimo Gilet” da quando si collega con l’Italia solo se sui sacchi di sabbia che lo circondano viene adagiato anche un gilet con la scritta press per aggiungere pathos al mestiere, era lì a fare il duro lavoro dell’inviato di guerra. Che però conduce anche la puntata, coordina lo studio, lancia suoi servizi, lancia la pubblicità, ci aggiorna sugli sviluppi sul posto.
Gli sviluppi sul posto raccontati da Gilet, per la cronaca, sono “S’è sentito un botto”, “Un altro botto”, “Due botti”, roba  che io a un certo punto mi sono chiesta se fosse la guerra o il carico di droga arrivato nel quartiere di qualche boss di Odessa, boh. Ma proseguiamo.
Parte il servizio esclusivo in cui Gilet mostra gli obiettivi sensibili colpiti dai russi a Odessa, nonostante il governo ucraino abbia vietato ai giornalisti di farlo entro le 24 ore dal bombardamento. Le immagini girate all’alba sono impressionanti. Sto parlando delle occhiaie di Giletti alle sei del mattino.
Poi arriva l’ospite d’eccezione, Walter Veltroni, il cui ruolo pattuito col conduttore è stato chiaro fin dall’inizio: «Massimo, io ti dico quanto sei figo a stare lì sotto le bombe, anzi, tra i botti, se tu mi dici quanto è figo il mio libro». «Ok, andata Walter».
Il conduttore Gilet lancia un altro servizio dell’inviato Giletti, questa volta è il tour delle trincee abbandonate con ricerca di souvenir tipo gita sul vulcano con ricerca di pietre laviche per farsi il braccialetto.
Non so bene chi abbia convinto Gilet che fare il reporter di guerra sia mostrare quello che trova per terra con la musica horror in sottofondo, fatto sta che ci mostra, nell’ordine: un foglio di giornale russo (ma tu guarda, pensavo che i russi leggessero DiPiù), una scarpa che butta subito per terra perché ha appena scoperto che questi pezzenti di russi non combattono con le Hogan, dei “pezzi tagliati di erba” che non si sa cosa voglia dire.
Soprattutto, molto stupito, continua a mostrare avanzi di cibo. Questa cosa che i soldati mangino lo ha sconvolto parecchio, forse pensava che i russi si ricaricassero alle colonnine della Tesla. 
Poi torna in studio dove Alessandro Sallusti dà della gallina starnazzante a Fabiola D’Aliselio che sembra un’attrice di Forum, una di quelle che vanno da Barbara Palombelli e dicono che si sono separate dal marito e ora litigano su chi dei due debba tenere il coniglietto nano che avevano comprato insieme a una fiera agricola nell’Oltrepò.
Gilet la interrompe bruscamente e annuncia una servizio in cui si parlerà dei FOSSI COMUNI. Forse intendeva l’utilizzo del congiuntivo imperfetto nell’uso comune, non si è capito.
Torna in studio e mette a confronto l’ormai noto giornalista ucraino Valdislav Maistrouk  che presenta come “MAISMAK”. Saranno stati i botti che lo hanno confuso. Maistrouk ascolta le parole di un giornalista russo in collegamento che nega con sorrisetto cinico la strage di civili a Bucha. Maistrouk dice serafico: «Messaggio per i mandanti e propagandisti: dovete avere paura, devi avere paura fino all’ultimo giorno della tua esistenza, tu ridi ma noi ti troveremo, troveremo tutti e come ha fatto Israele quando vi troveremo, vi puniremo». Una minaccia di morte in diretta tv.
Gilet o non sente o sente un altro botto, fatto sta che non batte ciglio e annuncia un altro servizio sui FOSSI COMUNI. Poi lancia un altro suo servizio sul posto in cui mostra che dentro una vecchia stalla ci sono “RESTI DI RUSSI”. Ha detto così eh, non sto inventando.
Dentro la stalla, per la cronaca ci sono solo mattoni e paglia, dunque i russi forse sono tipo i guerrieri di terracotta, una pioggerellina a tradimento li ha sciolti.
Da una certa ora in poi, la confusione si trasforma in delirio. Gilet inizia a innervosirsi per i botti, dice lui, e quindi litiga a caso con gente in studio, toglie la parola a ospiti inermi, maltrattati gratuitamente, ripete che per lui è complicato e devono capirlo, poi “veniteci voi qui sotto le bombe!” perché Massimo Gilet deve ricordarci ogni tre per due quanto è pericoloso stare lì con le sole Hogan a fargli da scudo.
Infine, la deriva più esilarante: da metà puntata in poi comincia a litigare con personaggi immaginari, che noi non vediamo mai e che nella sua testa forse sono quelli della sicurezza ucraina, una cosa tipo tipo “Beautiful mind, e quindi “tuenti minuts end ai stop!!!”, “tuentifaiv second!”, “Iz ok!”, ma soprattutto “Don’t worry, be happy”. Giuro, l’ha detto. Ha detto “dont uorri bi eppi” a un soldato o a un soldato immaginario, non lo sapremo mai.
Così come non sapremo mai dove sono andati quei botti che verso la fine lui commenta così: «Si sentono dei botti, speriamo che vadano da un’altra parte!».
Insomma, speriamo che cadano in testa a qualcun altro.
E da Massimo Gilet è tutto.