Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  aprile 05 Martedì calendario

Carlos Alcaraz, nuova stella de tennis, si racconta

Il motto del nonno come stella cometa («Segui sempre le tre C: cabeza, corazon, cojones»), l’affetto fraterno per coach Juan Carlos Ferrero, abbracciato al termine della finale con Ruud con le lacrime agli occhi, il delicato punto fatto rigiocare a Hurkacz in semifinale con grande fairplay. Re di Miami a 18 anni e 333 giorni, nuovo numero 11 della classifica mondiale al posto di Jannik Sinner, l’agiografia di Carlos Alcaraz si arricchisce ogni giorno. E il bello è che è solo l’inizio. 
Carlos, e se non avesse fatto il tennista? 
«Ah, chi lo sa. Fino ai dieci anni ho giocato a calcio a cinque, ma da lì a fare il calciatore ce ne passa. Oggi tifo Real Madrid». 
Come Nadal. I continui paragoni la infastidiscono? 
«Sui social, da un paio d’anni, è tutto un paragone. Io cerco di non farmi distrarre troppo: penso a me, al mio tennis, ai miei miglioramenti». 
Avere davanti una nave scuola di quella portata ha anche i suoi vantaggi. 
«Lo riconosco, come non nego che i consigli e i complimenti di Rafa fanno sempre piacere. Ma io sono di Murcia, lui di Maiorca, lui è mancino e io no, io da bambino ero tutto tranne che un guerriero: ero mingherlino, piccoletto, poco potente. L’opposto di Nadal…?». 
Quando si è trasformato? 
«L’ingresso all’accademia di Villena di Juan Carlos Ferrero, che poi è diventato il mio coach, mi ha cambiato la vita. Lì mi sono evoluto: ho messo su muscoli, sono cresciuto, sono diventato più duro sul campo». 
Perché da Murcia è andato proprio a Villena? 
«Perché volevo allenarmi con Ferrero. Quando ha vinto il Roland Garros nel 2003, ero appena nato. L’ho recuperato su YouTube». 
Crede che avere un ex n. 1 come coach sia un vantaggio rispetto a Jannik Sinner? 
«Beh, essere seguito da un ex professionista che ha fatto le cose ad alto livello prima di me è un punto a mio favore: Juanki mi dà consigli che chi non ci è passato non può dare».  
Come vede, in prospettiva, la sua rivalità con Sinner? 
«Jannik è forte. È un top 10, ha vinto 5 titoli, non è tanto significativo che io l’abbia battuto (al Master 1000 di Parigi, l’anno scorso) né che l’abbia scavalcato in classifica. Ogni match ha storia a sé. Sognavo di ritrovarmi nella sua posizione, dopo Miami sono addirittura davanti a lui. È molto forte anche Berrettini, da cui ho perso a Melbourne. Ecco, rispetto a Jannik, il servizio di Matteo è una bomba». 
Cosa fa quando non gioca a tennis? 
«Mi piace il golf, il padel, il calcio con gli amici, adoro stare a casa a fare niente. Oddio, niente: con tre fratelli, tennisti anche loro, stare con le mani in mano è dura!». 
Che sogni coltiva? 
«Ero a Tokyo, l’Olimpiade mi è piaciuta un sacco: vorrei vincere un oro per la Spagna, un giorno». 
Come Rafa a Pechino 2008. 
«Sì ma poi non mi accontenterei dell’oro... Come tutti sogno di vincere i grandi tornei, la Coppa Davis, e di diventare numero 1». 
Sempre come Rafa. 
«Devo migliorare tanto, la testa, soprattutto. All’accademia mi segue una mental coach, una ragazza: mi aiuta molto». 
Si ricorda il primo incontro con Nadal? 
«A Barcellona, nel 2018. Siamo andati in campo a palleggiare, per me ha significato moltissimo: ero un ragazzino, il mio braccio all’inizio tremava. Giocare insieme in Davis (l’anno scorso me l’ha impedito il Covid) sarebbe fantastico. Però, ripeto: non imito nessuno, ognuno ha la sua storia e io sto cercando di capire qual è la mia».