Corriere della Sera, 5 aprile 2022
Carlos Alcaraz, nuova stella de tennis, si racconta
Il motto del nonno come stella cometa («Segui sempre le tre C: cabeza, corazon, cojones»), l’affetto fraterno per coach Juan Carlos Ferrero, abbracciato al termine della finale con Ruud con le lacrime agli occhi, il delicato punto fatto rigiocare a Hurkacz in semifinale con grande fairplay. Re di Miami a 18 anni e 333 giorni, nuovo numero 11 della classifica mondiale al posto di Jannik Sinner, l’agiografia di Carlos Alcaraz si arricchisce ogni giorno. E il bello è che è solo l’inizio.
Carlos, e se non avesse fatto il tennista?
«Ah, chi lo sa. Fino ai dieci anni ho giocato a calcio a cinque, ma da lì a fare il calciatore ce ne passa. Oggi tifo Real Madrid».
Come Nadal. I continui paragoni la infastidiscono?
«Sui social, da un paio d’anni, è tutto un paragone. Io cerco di non farmi distrarre troppo: penso a me, al mio tennis, ai miei miglioramenti».
Avere davanti una nave scuola di quella portata ha anche i suoi vantaggi.
«Lo riconosco, come non nego che i consigli e i complimenti di Rafa fanno sempre piacere. Ma io sono di Murcia, lui di Maiorca, lui è mancino e io no, io da bambino ero tutto tranne che un guerriero: ero mingherlino, piccoletto, poco potente. L’opposto di Nadal…?».
Quando si è trasformato?
«L’ingresso all’accademia di Villena di Juan Carlos Ferrero, che poi è diventato il mio coach, mi ha cambiato la vita. Lì mi sono evoluto: ho messo su muscoli, sono cresciuto, sono diventato più duro sul campo».
Perché da Murcia è andato proprio a Villena?
«Perché volevo allenarmi con Ferrero. Quando ha vinto il Roland Garros nel 2003, ero appena nato. L’ho recuperato su YouTube».
Crede che avere un ex n. 1 come coach sia un vantaggio rispetto a Jannik Sinner?
«Beh, essere seguito da un ex professionista che ha fatto le cose ad alto livello prima di me è un punto a mio favore: Juanki mi dà consigli che chi non ci è passato non può dare».
Come vede, in prospettiva, la sua rivalità con Sinner?
«Jannik è forte. È un top 10, ha vinto 5 titoli, non è tanto significativo che io l’abbia battuto (al Master 1000 di Parigi, l’anno scorso) né che l’abbia scavalcato in classifica. Ogni match ha storia a sé. Sognavo di ritrovarmi nella sua posizione, dopo Miami sono addirittura davanti a lui. È molto forte anche Berrettini, da cui ho perso a Melbourne. Ecco, rispetto a Jannik, il servizio di Matteo è una bomba».
Cosa fa quando non gioca a tennis?
«Mi piace il golf, il padel, il calcio con gli amici, adoro stare a casa a fare niente. Oddio, niente: con tre fratelli, tennisti anche loro, stare con le mani in mano è dura!».
Che sogni coltiva?
«Ero a Tokyo, l’Olimpiade mi è piaciuta un sacco: vorrei vincere un oro per la Spagna, un giorno».
Come Rafa a Pechino 2008.
«Sì ma poi non mi accontenterei dell’oro... Come tutti sogno di vincere i grandi tornei, la Coppa Davis, e di diventare numero 1».
Sempre come Rafa.
«Devo migliorare tanto, la testa, soprattutto. All’accademia mi segue una mental coach, una ragazza: mi aiuta molto».
Si ricorda il primo incontro con Nadal?
«A Barcellona, nel 2018. Siamo andati in campo a palleggiare, per me ha significato moltissimo: ero un ragazzino, il mio braccio all’inizio tremava. Giocare insieme in Davis (l’anno scorso me l’ha impedito il Covid) sarebbe fantastico. Però, ripeto: non imito nessuno, ognuno ha la sua storia e io sto cercando di capire qual è la mia».