Corriere della Sera, 5 aprile 2022
Inondati di poesia. Ma chi la vuole?
Mai sentito il nome di Montale tante volte. Perché il liceo dello scandalo è intitolato al poeta e premio Nobel. Il quale ha cantato i suoi amori «corsari» per tante muse (Clizia, la Volpe…) mentre era legato alla Mosca, Drusilla Tanzi, peraltro sposata con un altro. Non si scandalizzerebbe certo, il borghese Montale, per una relazione «sconveniente» tra la prof e l’allievo (maggiorenne). Quel che conta è che dalle sue «occasioni» vere o immaginarie sono nate poesie stupende: «Ti libero la fronte dai ghiaccioli…», e sarebbe assurdo pensare che la circolazione del suo nome potesse promuovere in questi giorni la lettura delle sue poesie. Piuttosto, il critico Stefano Brugnolo ha aperto su Facebook una discussione sull’emarginazione della poesia dal «discorso pubblico». Fatto sta che, discorso pubblico o no, nell’ultimo mese siamo stati inondati di poesia (ottima e anche eccelsa). Volendo, avremmo potuto approfittarne. Ma vogliamo davvero? La poesia ha pochi orecchi disponibili all’ascolto. Eppure ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta: tutte le poesie di Franco Scataglini (gradissimo poeta marchigiano), una raccolta postuma di Philippe Jaccottet (altro gigante svizzero-francese), per non dire del Meridiano di Camillo Sbarbaro. Tutti morti? Ci sono anche i vivi. Valerio Magrelli, Silvia Bre, Umberto Piersanti, Mario Santagostini... Apro e leggo versi bellissimi e leggibilissimi (è la presunta oscurità della poesia che spaventa!): «Arrivava l’afa. Seduti al bar sotto i platani, tiravamo / sera a indovinare / da quanto tempo era in cammino / chi ci veniva incontro». Sarà un assassino, un terrorista, un amante, un’amante, un nemico, un pazzo, un padre, una sorella, un ubriaco, il postino, la vita, la morte… C’è qualcuno curioso di sapere chi era quel tizio, anche se non si tratta di un giallo che si risolve dopo duecento pagine? Ieri sul «Corriere» Ida Bozzi segnalava le poesie della giovane yemenita-somala Laila Hussein Ali, proposte da Crocetti nella benemerita rivista «Poesia». Sono versi scritti in guerra. Come quelli del popolarissimo poeta-narratore ucraino, Serhij Zhadan, da oltre un mese impegnato nella resistenza ai russi (con i fucili oltre che con i versi). Per loro la questione dell’ascolto e del «discorso pubblico» non si pone. Piovono bombe ma la loro voce si sente lo stesso.