Corriere della Sera, 5 aprile 2022
Tutte le fake news sulla guerra diffuse dai russi
Questa volta la doppia dose del generale Igor Konashenkov non basta. Ogni giorno, alle dieci del mattino e intorno alle 18, il portavoce del ministero della Difesa racconta in diretta la sua verità sugli avvenimenti del momento, che poi viene elaborata dai media statali. Per gli avvenimenti più importanti, come quando si è trattato di confutare la paternità del bombardamento del teatro di Mariupol o di denunciare la presunta fornitura di armi biologiche all’Ucraina da parte degli Usa, al massimo interviene il suo diretto superiore, il viceministro Mikhail Mizinstev.
Ma ieri non è stata una giornata come le altre. Ieri sono dovuti scendere in campo i pesi massimi. Dmitry Peskov, l’uomo che parla per conto di Vladimir Putin, ha messo in dubbio la veridicità dei video giunti da Bucha, sostenendo che i suoi specialisti militari avevano identificato alcuni falsi, senza specificare quali. E ha aggiunto che la questione è troppo seria e quindi bisognerebbe convocare il Consiglio di sicurezza dell’Onu per discuterne. Anche il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha messo un carico sulla vittimizzazione del suo Paese. «Consideriamo la messa in scena di Bucha come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale».
La Russia non ha inventato niente. Al massimo, sta cercando di perfezionare il meccanismo. Ma la disinformazione di guerra segue regole ben precise, non lascia nulla alla creatività del momento. All’inizio si nega, con una certa veemenza. «Queste provocazioni da parte ucraina sono intollerabili» ha esclamato ieri Peskov. Già sentito, qualche anno fa, nei Balcani. Anche le autorità serbo-bosniache dissero che i massacri al mercato Markale di Sarajevo se li erano fatti i resistenti bosniaci per conquistare la solidarietà della comunità internazionale. Ci vollero quasi vent’anni, per stabilire che quei colpi di mortaio erano stati sparati dall’esercito serbo che assediava la città. E lo spazio che ricevette la notizia fu inversamente proporzionale al tempo che era passato da allora.
La seconda fase è la nebbia di guerra. La frase deriva dal gergo militare e indica l’impossibilità di ottenere informazioni sicure dal campo di battaglia. Se non esistono certezze, se verità e bugia sono impossibili da distinguere, può essere stato anche il nemico. La disputa sulle date dell’abbandono di Bucha da parte dell’esercito russo appartiene a questo canone. Niente di nuovo, neppure qui. Nell’aprile del 1937 il dittatore Francisco Franco, di fronte allo sdegno della comunità internazionale per il massacro di Guernica, rispose che la città era stata bruciata dai difensori baschi che si stavano ritirando. In epoche più recenti si è parlato del metodo Srebrenica, dal nome della città dove avvenne il massacro del 1995 ad opera dei soldati del generale serbo Ratko Mladic. Se la negazione non funziona, si può sempre fare una chiamata in correità dicendo che gli altri, gli americani, la Nato o gli ucraini, hanno fatto ben di peggio. Succederà ben presto. Solo questione di tempo.
Il sito sui «falsi»
Il ribaltamento delle responsabilità si è già visto più volte in questi quaranta giorni di guerra. Il sito sui falsi di guerra creato dal Cremlino cita come esempio il bombardamento del teatro di Mariupol. Prima la tesi avversa, ovvero che si sia trattato di una operazione dell’aviazione russa, catalogata alla voce «fake». Poi, di seguito, le versioni da prendere per buone, certificate dal bollino «verità». «Dopo il fallimento della provocazione inscenata all’ospedale pediatrico, i nazionalisti del battaglione Azov si sono preparati con più attenzione. Hanno portato molti civili, nel teatro, promettendogli riparo». Gli elementi a sostegno del complotto sarebbero alcuni messaggi di incerta paternità su Twitter e Telegram dove viene riportato il progetto dei soldati ucraini di far saltare in aria la sala, per dare la colpa i russi. Ma è come se ci fosse un catalogo dal quale scegliere la tesi contraria a piacimento. Se per l’ospedale di Mariupol si trattava di comparse ingaggiate per simulare l’evacuazione, qui la luce naturale che filtra dalle finestre del teatro proverebbe che le immagini dei morti sono state girate prima del bombardamento.
L’unica vera novità consiste nella velocità della reazione. In soli due giorni è stato distillato tutto il manuale della propaganda. Come se la Russia fosse stata sorpresa dalla visibilità estrema di questa guerra, la prima ai tempi del dominio social, dove le vittime parlano in tempo reale, sono connesse con il mondo intero e spesso realizzano da sole le loro testimonianze. E dove i satelliti dimostrano che i corpi delle vittime di Bucha si trovavano lì da giorni, smentendo quasi in diretta la tesi russa. Quasi una nemesi, per la potenza considerata maestra della disinformatia sul web, che obbligata a giocare di rimessa risponde con indizi labili, confutabili, spesso falsi. Ma tanto l’importante è sempre seminare il dubbio. Qualche idiota pronto a raccoglierlo e ad amplificarlo, per vanità o cialtronaggine, lo si trova sempre. Anche e soprattutto in Italia.