la Repubblica, 5 aprile 2022
Lee Jung-jae, la star di Squid Game
«No, non ho mai pensato di ritirarmi». Sospiro di sollievo per gli appassionati di Squid Game, la serie più vista nella storia di Netflix. Lee Jung-jae, 49 anni, in cima alla classifica degli attori dai compensi stellari del cinema coreano, ci racconta il destino del “torneo della morte”. L’olimpiade distopica ha già ispirato uno sketch al Saturday Night Live, con Pete Davidson e Rami Malek in versione country-pop, mentre al Grand-Guignol generale (i partecipanti, su un’isola al largo di Seoul, sono sterminati per gioco) è riuscito a infilare più di un dibattito sugli effetti della violenza sui ragazzini. «Non è una serie sui giochi di sopravvivenza» ha fatto sapere il creatore della serie Hwang Dong-hyuk. «È un’accusa alle disuguaglianze e al capitalismo moderno». Il ruolo del protagonista Seong Gi-hun, detto Giocatore 456 – corredato da outfit di culto (tutina verde e sneaker senza lacci) e arbitri-cecchini (un’enorme bambola robot sparatutto) – sta regalando una seconda vita a Lee Jung-jae, ospite d’onore della XX edizione del Florence Korea Film Festival, in programma da giovedì fino al 15 aprile: «Sono consapevole di far parte di un fenomeno di massa. Ora il mio compito è trasmettere un messaggio ottimista per il futuro».
Si è da poco aggiudicato un Sag Award come miglior attore: «Sono grato agli spettatori in tutto il mondo – a un mese dalla première, 142 milioni di famiglie sono rimaste incollate alla serie – ma sul mio ritiro deve esserci un malinteso. Ho dichiarato di aver vissuto un crollo personale. Quando da giovane non vedi progressi, è naturale perdersi d’animo. Grazie ai fan, la passione è tornata più forte che mai». Crescendo negli anni Settanta a Seoul, Lee ha giocato a Squid Game e a tutti gli altri tornei. «Lo spirito politico della serie mi affascina. Basti prendere la premessa: un centinaio di giocatori in lotta fino alla morte per una ricompensa di 38 milioni di dollari. L’analisi spietata dello show può offrire una finestra sull’egemonia culturale». Ricorda: «Sul set mi tornavano spesso in mente le risate, i pianti e le urla degli amici d’infanzia. I veri giochi, coreani e non, non sono così violenti, però se ti lasci prendere la mano la competizione può diventare aggressiva». Le parodie che circolano in rete lo divertono parecchio: «Mi hanno mostrato su YouTube alcune performance spassosissime. Squid Game è ormai uno stato di trascendenza, un rito di passaggio per 90 paesi. Eppure, ogni volta che butto un occhio ai numeri dello streaming, resto stupito. Sento addosso un grande senso di responsabilità».
Lee ha debuttato nella moda e nella tv a metà anni Novanta; il ruolo della consacrazione è arrivato con City of the Rising Sun nel 1998. Temi paralleli aSquid Game: un uomo alla ricerca del senso della vita e il gioco di mezzo. «Avevo 27 anni – sospira – se potessi viaggiare indietro nel tempo, vorrei dire a me stesso: ricorda di essere grato per tutto ciò che la vita ti regala, lavora con costanza e divertiti sempre». Uno dei film a cui è più affezionato è Il mare: «È passato molto tempo dalla sua uscita, ne hanno fatto un remake con Keanu Reeves e Sandra Bullock. Mi piacerebbe tornare a recitare in un melodramma». A Firenze parteciperà ad una masterclass sulla sua carriera. «Ho sentito che il Florence Korea Film Fest è cresciuto molto negli ultimi vent’anni ed è considerato il festival per eccellenza nella programmazione coreana in Europa», dice. «Sono orgoglioso di mostrare anche Deliver Us from Evil di Hong Won-Chan. Mettermi in gioco è nel mio sangue. Non recito soltanto; produco, scrivo, dirigo. Le riprese del mio debutto alla regia, Hunt,sono appena terminate. Il cinema è lavoro di gruppo. Ho sperimentato sulla mia pelle che dirigere e recitare allo stesso tempo è un compito ingrato: richiede una forza fisica da atleti. Altro che Squid Game! ».