la Repubblica, 5 aprile 2022
Gli ucraini montano le prime armi fornite dall’Italia
Hanno cominciato a montarle in un parco, davanti alle panchine. Con aria interessata e un po’ stupita hanno preso confidenza con il treppiede, che obbliga a una posizione di tiro molto diversa dalla tradizione sovietica dell’esercito ucraino. Sono le prime immagini dei soldati di Kiev che provano le armi fornite dall’Italia: trattandosi di un’operazione segreta, non ci sono riscontri ufficiali ma gli esperti interpellati da Repubblica confermano che si tratta proprio delle nostre mitragliatrici.
Le foto diffuse sui social sono state accolte inizialmente con sarcasmo: in apparenza le mitragliatrici consegnate dal nostro Paese sono identiche a quelle della seconda guerra mondiale. «Arnesi vecchi...», è stato uno dei commenti. Subito sono arrivate le correzioni online: «Le utilizzano gli americani in tutto il mondo. Vedrete che faranno un ottimo lavoro…». Si tratta infatti di mitragliatrici pesanti, derivate dallo storico modello che compare nei film sullo sbarco in Normandia ma prodotte in epoca più recente. Assieme a loro ci sono le MG 42/59 ossia la versione aggiornata dell’arma del Terzo Reich celebre per il suo volume di fuoco, che i nostri fanti hanno sfruttato negli scontri con i talebani.
Di sicuro, però, il contributo bellico italiano non spicca per tecnologia. I militari ucraini preferiscono esibire i missili Javelin e Nlaw d’ultima generazione ceduti da americani e inglesi, con sistemi “spara e dimentica” che li dirigono automaticamente contro i tank russi. Il nostro esercito ne ha persino di migliori – gli Spike – e sembra che il governo Draghi fosse intenzionato a spedirli a Kiev ma il produttore israeliano non ha concesso l’autorizzazione, per motivi diplomatici o per il timore che venissero presi dai russi. Il segreto impedisce di fare luce su questo e su altri punti oscuri dell’operazione di sostegno all’Ucraina.
A quel che si sa, sui voli che decollano verso la Polonia dagli aeroporti di Pratica di Mare e di Pisa sono stati trasferiti diversi missili terra- aria Stinger, preziosi per la difesa contro i caccia e gli elicotteri di Mosca, e razzi controcarro Panzerfaust. I numeri però sarebbero limitati perché le nostre disponibilità sono ridotte: dalla fine della Guerra Fredda non c’è stata grande attenzione agli strumenti per affrontare conflitti tradizionali. Molti di questi razzi sono stati consumati nelle missioni afghane e irachene mentre soltanto nello scorso ottobre si è deciso di comprare mille Panzerfaust con testata in grado di perforare le corazze dei nuovi tank russi: il contratto è stato firmato il 28 febbraio, quattro giorni dopo l’invasione.In compenso dovremmo avere fornito parecchi missili controcarro Milan, che i nostri reparti stanno mandando in pensione: sono ordigni datati, il progetto risale al 1993, ritenuti ancora efficienti. Il problema è che il personale ucraino deve venire addestrato ad utilizzarli e non è chiaro come sia stata risolta la questione. La stessa difficoltà d’uso potrebbe riguardare i mortai da 120 millimetri, decisivi nelle battaglie in Afghanistan, che risultavano inclusi nelle prime liste di aiuti. Tutti elementi che non hanno entusiasmato i comandi di Kiev, tanto che a settimane dalla consegna i doni del governo Draghi non sono mai comparsi sulla linea del fronte. Adesso però quella ucraina è diventata una guerra di logoramento e si ricorre a qualsiasi arma in grado di sparare: la resistenza a Kharkiv ha addirittura tirato fuori le Maxim M1910, vetuste mitragliere su carrello veterane della rivoluzione bolscevica.
In realtà, c’è un sistema italiano che gli ucraini stanno lodando: i fuoristrada blindati Lince. Non glieli abbiamo dati noi, ma li hanno catturati ai russi. Nel 2011, ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, Mosca ha firmato un ordine per costruirne su licenza quasi 1.700 esemplari. Sembrava che la produzione si fosse interrotta dopo i primi 350, invece è continuata fino al 2016: almeno seicento sarebbero in servizio con le forze speciali, incluse le milizie cecene, e vengono impiegati dagli invasori a Mariupol e nel Donbass. Nel corso dei combattimenti una ventina sarebbe stata distrutta e un’altra decina è caduta nelle mani degli soldati di Kiev. Che appena possono li riutilizzano, con grande soddisfazione: è un mezzo progettato per resistere alle mine, adottato da dozzine di eserciti e benedetto dagli equipaggi in Afghanistan. Una dote confermata sul campo pure in questa guerra.