il Fatto Quotidiano, 5 aprile 2022
Storia di via Margutta
Papa Paolo III esonerò dal pagamento della tassa di soggiorno e dell’esercizio della professione gli artisti con alloggio tra Via Margutta e Via Sistina.
Nel 1576 Via Margutta è delineata, per la prima volta, nella pianta di Roma. Il toponimo ha dato adito a varie interpretazioni: da un torrentello o marrana, che qui vi scorreva, detto Maris gutta, cioè goccia del mare. Secondo altri, il nome della via deriverebbe dalla famiglia Margutti, oppure da un barbiere “Margut, o Margutti, o Margutta un tipo noto allora per essere un tipo burlone, che per primo abitò qui”.
I primi artisti che si insediarono tra Via Margutta e Via del Babuino, furono olandesi e fiamminghi e quasi tutti seguaci del “realismo caravaggesco”. Tra questi si ricorda Rubens, “il Raffaello di Anversa”.
Nel 1634, Roma ospitava ben 104 pittori stranieri, fra francesi, olandesi e fiamminghi, per un totale di 244 artisti attivi in città, “la metà dei quali con studio in Via Margutta”.
Abramo Bruegel, nipote del celebre Pieter, in Via Margutta aprì, nel 1666, il primo “negozio” di quadri e oggetti d’arte.
Nel 1717 il conte Giacomo Alibert costruisce il Teatro Alibert e la vita della strada si riaccende. Il Metastasio vi trionfò per cinque anni… L’Alibert, con i suoi sette ordini di palchi, poteva ospitare 1.800 spettatori. Famoso frequentatore ne fu il marchese del Grillo.
Franz Listz, fra il 1861 e il 1864, capitò parecchie volte a Roma senza prendervi stabile dimora: una volta disse che il grande Richard Wagner, suo genero, non avrebbe affatto disdegnato uno degli studi di Via Margutta per comporre la sua musica. Lo seppero gli artisti di Via Margutta: un musicista tra loro? E per di più tedesco, che scriveva musica dell’avvenire? Per carità! Si scatenò una mezza rivoluzione. Si sarebbe perduta quella bella quiete della quale tutti si beavano. Come si sarebbe riusciti a lavorare? Così mandarono Wagner ad abitare in Via del Babuino, al n. 79.
Il Gruppo dei Romanisti nacque negli anni 1933-34 nel fiabesco studio di Via Margutta dell’antiquario Augusto Jandolo. Fra i romanisti c’erano Ceccarius, Ettore Petrolini, Enrico Tadolini, Ettore Veo, Franco Liberati, Marcello Piermattei, Pietro Fornari.
Al n. 53/b in uno studio con ampi finestroni sul retro, la cui vista spazia sul Pincio e su Villa Medici, lavora Pablo Picasso. Insieme a Jean Cocteau abita nel lussuoso Hotel de Russie in Via del Babuino: “Siamo nel Paradiso terrestre – scrive Cocteau alla madre –. Tutti ci danno pacche sulla spalla con grida d’entusiasmo. È la sola lingua tra gli ingenui futuristi e noi… I futuristi sono molto provinciali. Dipingono male e gesticolano. Ci ubriacano di vino rosso e Papini ci offre mille banchetti… Di fronte a Villa Medici, Picasso dipinse il cinese, i manager, l’americana, il cavallo e gli Acrobati in azzurro che Marcel Proust definì i Dioscuri”.
Picasso dipinge L’italienne, traendo lo spunto dall’immagine delle fioraie di Piazza di Spagna, le donne che siedono sui gradini della scalinata di Trinità dei Monti per vendere fiori o per offrirsi come modelle ai pittori di Via Margutta… A Roma le modelle formano una corporazione.
Nel 1958, nel cortile e negli studi del 51/a, Billy Wilder ambientò Vacanze Romane, con Audrey Hebpurn e Gregory Peck.
A tutte le ore, spuntavano dalle traverse Marlon Brando, Anna Magnani, Fred Buscaglione: entravano da Mario e si appoggiavano al bancone. John Huston veniva a ordinare casse di whisky; Truman Capote, corrispondente da Roma, a luglio era ancora infagottato in un incredibile cappotto… Erano rimasti per ultimi Federico Fellini e Giulietta Masina. Lui, con un cappellone in testa e una sciarpona, rossa o gialla, intorno al collo, passava davanti alla bottega di Angelo Rosa, restauratore, che lo salutava: “Buona sera, maestro” e Fellini rispondeva: “Maestro è lei”.
Il luogo in cui s’è coagulato il Gruppo di Forma 1 è proprio lo studio di Guttuso al n. 48. Consagra dorme nello studio accanto perché Guttuso ha paura di dormire solo.
All’Osteria di Menghi non è raro incontrare Zavattini che colleziona opere di piccolo formato, a prezzo fisso, o Pietro Germi, De Sica, Visconti, Moravia… Qualche volta fa la sua comparsa Cardarelli, sempre col cappotto in tutte le stagioni. Mazzacurati e Flaiano lo hanno battezzato “il più grande poeta morente” e “ventimila seghe sotto i marmi”.