Corriere della Sera, 3 aprile 2022
Intervista a Shel Shapiro
Non è un titolo ego-riferito «Quasi una leggenda», album con cui Shel Shapiro torna a farsi sentire a 14 anni dall’ultimo lavoro solista. «La verità è che quasi tutte le leggende che conosco sono morte, quindi cerco di non associarmi troppo», scherza il cantautore, 78 anni e una carriera lunga 60 fra musica, cinema e tv.
Che cosa intende allora con «Quasi una leggenda»?
«Era un modo per essere spiritoso. Viviamo in un mondo di miti, in cui la gente vuole dei supereroi, forse per combattere la normalità che ci accomuna. Ma volevo smitizzare questi aggettivi di potenza. La leggenda, forse, sta nell’avere determinazione».
Nel disco ci sono due ospiti: Dori Ghezzi e Lina Sastri. Come ha convinto Ghezzi che canta così raramente?
«Qualche anno fa stavo lavorando a uno spettacolo teatrale che poi non è andato in porto e una delle canzoni originali era questa “Non arrenderti”. Non so perché ho chiesto a Dori di cantarla, ma siamo amici da 50 anni e ha accettato. Negli anni 70 avevo scritto “Era” con cui lei e Wess andarono all’Eurovision. Lei canta benissimo. Quando hai vissuto esprimi verità e consapevolezza con la voce».
Cosa pensa della grande attesa per l’Eurovision a Torino di quest’anno?
«In verità non sto seguendo. Mi sembra che ci sia la tendenza a perdere di vista la musica in favore di vestiti e presentazioni. È tutto un po’ sopra le righe, ma pare che alla gente piaccia».
Vale anche per Sanremo?
«Quest’anno non c’è stato niente che mi abbia scioccato e non ho visto nulla che non avevo già visto. Mahmood e Blanco sono molto bravi e la canzone è molto bella».
I Maneskin le piacciono?
«Sì, già da “X Factor”. Sono un segno dei tempi: contemporanei, anche spudorati e va benissimo. A 20 anni cosa vuoi che facciano, stiano in casa a pensare alla guerra? Hanno trovato una loro dimensione nell’appoggiarsi a cose già sentite, ma alla fine a chi assomigliano? Direi a loro stessi e quindi vuol dire che hanno carattere e talento».
Lei ha iniziato con i Rokes: conferma che l’Italia non è un Paese per band?
«Non è mai stato facile per i gruppi. Nel dna italiano c’è qualcosa della storia dell’opera, c’è il grande tenore o il soprano. Tutti i gruppi sono figli dei Beatles e dei Rolling Stones, loro hanno mostrato che era possibile che una rockstar fosse fatta di quattro persone insieme. È il Brit rock che ha cambiato le cose. Ricordo quando suonavamo a Londra, nei locali di Carnaby Street prima che diventasse la Carnaby che conosciamo. Beatles e Stones erano già lì».
Andrà a San Siro a vedere gli Stones?
«Non ci penso neanche, sono troppo vecchio. Li amo follemente e ho visto su YouTube il loro concerto a Cuba. Non è che preferisco vederli in video, ma so com’è l’atmosfera di un live e non ho bisogno di andarci».
Nel video del suo singolo «La leggenda dell’amore eterno» c’è Mara Venier, con cui si scambia un bacio...
«Insieme siamo credibili. Uno della mia età non può scegliere una Violante Placido, deve essere qualcuno della mia generazione, ma ancora desiderabile in senso estetico. Io e Mara in passato avevamo lavorato bene e le persone con cui ti diverti nel nostro mestiere te le ricordi perché c’è tanta altra gente stronza che cerchi di scordare. Quel che voglio dire nel video è: perché non innamorarsi nella terza età, anzi, brutta parola, diciamo da grandi?».
Dopo una carriera così ricca e lunga, cosa la spinge a fare ancora dischi?
«Chi si siede sugli allori è andato in pensione mentalmente e lo trovo di una tristezza totale. Io faccio molta fatica a pensare di vivere del passato, certo ai concerti mi chiedono “È la pioggia che va” o altri pezzi vecchi e io li faccio, ma non c’è niente di più bello di dire “ho una canzone nuova”. Così stai andando avanti con la testa e partecipi attivamente alla vita».
Quindi alla pensione non ci pensa proprio?
«Spero proprio di no. Anzi adesso vado in tour, cominciamo a fine aprile. Sceglierò 4-5 pezzi nuovi, alla mia età averli è linfa vitale».
La sua famiglia è di origini russe. Che effetto le fa il conflitto in Ucraina?
«Lo stesso di qualunque altra guerra. In quel che sta succedendo la sensazione di essere sotto ricatto è totalmente immorale. Non so cosa pensino i russi, ma molti sono disposti a rischiare la libertà per protestare, quindi power to the people, potere al popolo».