Corriere della Sera, 3 aprile 2022
Frate Mitra raccontato da sua figlia
Torino «Ho sempre saputo che mio padre aveva avuto una vita speciale, ma la verità sul suo passato l’ho conosciuta solo a 19 anni». Daniela, figlia maggiore di Silvano Girotto, era appena nata quando «Frate Mitra», infiltrato per conto del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, riuscì a far arrestare i fondatori delle Br, Renato Curcio e Alberto Franceschini. Un evento che cambiò la storia d’Italia e la vita dell’ex missionario francescano, morto giovedì a 82 anni.
Figlio di un maresciallo dei carabinieri, Girotto aveva avuto un’adolescenza turbolenta, conoscendo prima il riformatorio e poi il carcere. In mezzo, ancora minorenne, si era arruolato per tre mesi nella legione straniera francese, ma tornò in Italia inorridito. In cella avvenne la sua conversione e Girotto abbracciò l’ordine francescano. Dopo qualche esperienza pastorale, andò in una missione in Bolivia e si ritrovò nel mezzo di un golpe militare. Decise di unirsi ai ribelli, guadagnandosi il soprannome di «Frate Mitra» e l’espulsione dall’ordine francescano. In Bolivia conobbe Carmen, la donna che poi avrebbe sposato nel 1973, in Cile, dove fu ferito e poi rimpatriato in Italia. Qui iniziò il terzo capitolo della sua vita, segnata dal suo contributo alla cattura dei capi storici delle Brigate Rosse.
«La narrazione di quel periodo è stata sempre sbagliata e lo ha fatto soffrire molto. Per anni è stato bollato come “traditore” e perfino “prezzolato” – racconta Daniela Girotto —. Tutte fantasie. Quando pensava che una cosa fosse giusta la faceva. Punto. Senza retropensieri». Fu così che l’ex frate di sinistra, che aveva abbracciato la guerriglia in Sud America, iniziò a collaborare con i carabinieri, convinto che la lotta armata fosse ancora evitabile e non necessaria. Ebbe diversi incontri con Curcio, alcuni «a torso nudo» perché i brigatisti volevano essere sicuri che non avesse addosso un registratore. L’8 settembre ‘74, a Pinerolo, nel giorno del reclutamento ufficiale di Girotto, Curcio e Franceschini vennero arrestati.
Eravamo in cortile, mi fece sedere e mi disse: «Adesso ascolta» Così ho saputo che mio padre era stato frate e tante altre cose
«Mio padre sosteneva che sarebbe potuto andare avanti e “consegnarli tutti”, ma le cose andarono diversamente. Decise comunque di testimoniare al processo e non ha mai avuto la scorta. Ha tolto semplicemente il nome dal citofono e dall’elenco telefonico. Quando gli chiedevo perché, mi rispondeva “perché sì”». Nell’estate del 1993, però, ci fu la rivelazione: «Avevo finito il liceo e stavo per partire per un anno sabbatico prima dell’università – ricorda la figlia di Frate Mitra —. Eravamo in cortile, mi fece sedere e mi disse “adesso ti racconto”. Così ho saputo che mio padre era stato frate e tante altre cose. Fui meravigliata, ma da subito orgogliosa di un padre che aveva fatto la cosa giusta. Leggendo libri e giornali dell’epoca ho invece capito il dolore di mio padre, quella sofferenza che lo ha divorato da dentro».
La vita «normale» di Girotto era quella di un pendolare, elettricista, che ogni mattina prendeva il treno. Fino al 1982 nessuno gli ha offerto un lavoro a Torino e nel 2002 la lunga lettera scritta alle figlie Daniela e Federica si trasformò nell’autobiografia «Mi chiamavano Frate Mitra», suo testamento spirituale. «Quel libro è stato catartico per lui, ha ricominciato a vivere e finalmente la gente ha iniziato a guardarlo con occhi diversi. Forse ci voleva un po’ di distanza storica».
Ieri è stato il momento dell’ultimo saluto a Girotto, con un funerale laico al tempio crematorio: «La sua religiosità era forte, ma molto personale. Vissuta in modi diversi a seconda dei differenti momenti della sua vita. Non era più legato alla Chiesa come istituzione». Dopo la pubblicazione del libro ha vissuto per 13 anni in una missione in Etiopia con la moglie Carmen e poi ha fatto la spola fra la Bolivia e Torino, prima di trasferirsi stabilmente nel quartiere Campidoglio dopo l’inizio della pandemia: «Per 49 anni sempre insieme a mia madre, che per farci andare all’università si era rimessa a studiare e aveva preso il diploma da infermiera – dice Daniela —. È stato un marito, un padre e un nonno molto presente. Un esempio e uno stimolo per me, anche quando discutevamo. Cosa mi mancherà di più di lui? Tutto, era mio padre».