la Repubblica, 3 aprile 2022
Dmitrij Reznikov, l’uomo che fu fermato dalla polizia russa per otto asterischi
MOSCA – Non c’erano parole sul foglio bianco mostrato da Dmitrij Reznikov, solo otto asterischi. Ma tanto è bastato perché il 22enne venisse arrestato il 13 marzo scorso a Mosca e poi condannato a pagare una multa di 50mila rubli (circa 530 euro) per “diffamazione delle forze armate”. «Che cosa scrivi su un poster non conta. Si viene arrestati anche per un foglio bianco. Tanto è chiaro da che parte stai. Non volevo screditare nessuno, solo dire che non voglio che si combatta in Ucraina in nome mio. Quest’offensiva non è una mia iniziativa», dice incontrandoci nei pressi della Scuola Superiore di Economia di Mosca dove studia sociologia. Ieri non è sceso in piazza perché un secondo fermo potrebbe costargli il carcere fino a 15 anni.
«Anche se mi rendo conto – ragiona – che non protestare per paura di un processo penale è egoistico. Anche finire in galera è un modo di far sentire la propria voce».
Ma ci vuole molto coraggio…
«Nessuno ci sta uccidendo a Mosca.
Ci picchiano con i manganelli, ci multano o mettono in galera, mentre in Ucraina soffrono. Non possiamo restare in silenzio. Partecipare a un raduno, anche a costo di farsi bastonare o vivere tutte le delizie di un tribunale russo, è la voce più preziosa».
Manifestare anche a costo del carcere a che cosa però servire?
«In molti dicono che protestare sia inutile, che non porterà a niente. Se fosse davvero così, tutti quelli che non sono d’accordo dovrebbero tacere. Non solo non dovremmo manifestare. Non dovremmo scrivere su Internet perché si rischia un processo amministrativo o penale anche per un post online. Ma se tutti noi russi contrari all’offensiva restassimo in silenzio, allora la gente ascolterebbe solo chi è a favore. E tutto il Paese diventerebbe colpevole e responsabile. Non il governo, non Putin, ma tutta la Russia».
Quali responsabilità avrebbero i russi?
«Se fossimo di più a scendere in piazza forse non ci troveremmo in questa situazione. Di chi è la colpa della seconda guerra mondiale? Di Hitler o della Germania? La risposta non è scontata. Si può dissertare a lungo se la responsabilità ricada su chi ha avviato il meccanismo o sul meccanismo stesso. Per questo è importante che i cittadini russi ribadiscano che questa offensiva non è nostra. Non siamo noi ad averla iniziata né la sosteniamo».
I tuoi genitori la pensano come te?
«Mio padre e mia madre non volevano che manifestassi, né che rilasciassi quest’intervista. In Russia c’è un grande divario generazionale.
Noi giovani siamo cresciuti con Internet in un mondo interconnesso.
Gli adulti usano sempre la parola “cattivo”. Dicono che non c’era altra scelta che inviare truppe in Ucraina perché l’Occidente è “cattivo”, Kiev è “cattiva”. Oppure dicono “loro”. Loro ci uccideranno, ci avveleneranno.
Non m’interessa che cosa è successo per otto anni, se gli ucraini stessero preparando un’arma biologica o se domani mi cadrà addosso un missile.
Io sono un cittadino russo. Sono responsabile per le azioni di questo Paese, non degli altri. Né vedo un “brutto” Occidente. Credo che si debba cooperare e risolvere le crisi in maniera pacifica».
Sei stato condannato per “diffamazione delle forze armate”…
«Io non scredito nessuno. La diffamazione è, ai sensi della legge, “un’azione volta a minare l’autorità, l’immagine e la fiducia in qualcuno, sminuendone la dignità e l’autorità”.
La mia protesta non era diretta contro le forze armate. Sono in pena anche per i soldati mandati a combattere. Non li scredito. A me non importa chi sia il responsabile dei massacri o di chi siano i missili che volano tra edifici residenziali uccidendo civili. Per me conta solo una cosa: c’è gente che muore a causa delle ostilità. Civili e soldati. E penso che si debba fare qualcosa per fermare il conflitto e perché non muoia più nessuno».
Ma hai paura del carcere?
«Finire in galera sarebbe un altro modo per far capire che noi russi non restiamo zitti di fronte a quest’offensiva. Che siamo disposti anche a sacrificare la nostra libertà.
Ci sto riflettendo molto. Da un lato, c’è gente che muore ed essere manganellato o messo in galera non dovrebbe farmi così paura se paragonato alla morte. Ma dall’altro lato, ho banalmente paura».