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 2022  aprile 03 Domenica calendario

La mobilitazione in Transnistria segna la debolezza del Cremlino

Transnistria è una terra leggendaria, una sorta di Tortuga post-sovietica dove convivono covi di trafficanti e basi militari segrete. Si narra di sterminati bunker che ancora ospitano le riserve di munizioni per l’assalto dell’Armata Rossa al Muro di Berlino, di testate atomiche sottratte agli accordi del disarmo e di laboratori sotterranei che continuano a produrre ordigni vietati. Nel crollo dell’Urss, questa piccola enclave russofila si è scissa a colpi di kalashnikov dalla Moldavia di lingua romena: una rivoluzione portata alla vittoria dall’intervento dei tank del generalissimo Alexander Lebed, che grazie all’impresa diventò così popolare da ambire al Cremlino.
L’ascesa di Lebed si è chiusa a 52 anni in un incidente aereo, sorte comune a diverse stelle nascenti del firmamento moscovita, poco dopo l’insediamento alla presidenza di Vladimir Putin.
Quanto sia pericolosa oggi la Transnistria è una domanda che tutti si fanno, a Kiev come nei comandi della Nato. E le indiscrezioni trapelate sulla stampa ucraina riguardo alla mobilitazione del presidio russo e dell’esercito di questo staterello ripropongono il timore di un tridente lanciato contro Odessa, partendo da qui, con uno sbarco dal mare e l’attacco alle trincee di Mykolaiv: l’operazione apparsa in una mappa alle spalle del leader bielorusso Lukashenko una settimana dopo l’inizio della guerra. Pochi giorni dopo, i guastatori ucraini hanno fatto saltare in aria i viadotti delle strade per la Transnistria e steso campi minati sul confine. Poi il silenzio.
Molti analisti reputano che le forze russe nell’enclave abbiano capacità limitate. Il contingente di Mosca sarebbe di circa 1.500 soldati, con dotazioni abbastanza leggere: pochi carri armati e niente artiglieria. I reparti dell’autorità secessionista contano circa cinquemila uomini, con una cinquantina di tank e una manciata di elicotteri: altri 10-15 mila sono riservisti che si esercitano spesso. Il mito della Transnistria come frontiera dell’educazione criminale, riportato anche nei racconti di Nicolai Lilin, vuole che qui tutti abbiano un mitragliatore, pronti a servire la patria o a utilizzarlo per interessi più venali. Nonostante questa fama, però, raramente i volontari della regione hanno preso parte ai conflitti di Putin, contrariamente a quello che hanno fatto i miliziani di altre repubbliche autonome come i ceceni o gli inguscezi. La situazione in Ucraina però si è messa male e ora il Cremlino ha bisogno di mobilitare tutte le risorse umane del Paese.
L’operazione militare speciale come è obbligatorio chiamarla – sta venendo trasformata dalla propaganda in una nuova guerra patriottica per difendere la Madre Russia dall’Occidente. Ed ecco che un attacco inscenato ad arte contro la Transnistria, una false flag per usare il gergo delle spie, sarebbe molto utile per serrare i ranghi dell’opinione pubblica e rialzare il morale dopo settimane di disfatte e di funerali. Per rimpiazzare i reparti logorati dai combattimenti Mosca sta attingendo a tutte le riserve. Ha persino trasferito al fronte due gruppi tattici prelevati da Kaliningrad, la fortezza russa incastonata tra i Paesi della Nato: pur di racimolare truppe fresche sta sguarnendo anche le posizioni più delicate. I russi non hanno problemi nel sostituire i mezzi distrutti: quello che oggi manca sono uomini addestrati e motivati.
Non può cercarli tra le centomila reclute inesperte, chiamate come ogni anno per la leva di primavera: deve convincere i riservisti a rimettere la mimetica. E fargli credere che in Ucraina si gioca la salvezza della Russia.