Corriere della Sera, 4 aprile 2022
Le donne e l’Eliseo
«Credo che l’elezione di una donna alla suprema magistratura sarebbe un progresso importante per la società francese. Questo non succede dai tempi di Anna d’Austria. E anche allora, a causa della legge dinastica, era solo reggente; alla morte di Luigi XIII nel 1643, il futuro Luigi XIV aveva solo 4 anni, governò il Paese con Mazzarino fino al 1661». Lo ha detto Alain Minc, saggista e consigliere ombra di Sarkozy e Macron. Di fatto, un «endorsement» a favore di Valérie Pecrésse, la candidata della destra gollista, la donna che sognava di diventare la Merkel francese ma che, salvo sorprese, deve prendere atto dei sondaggi sfavorevoli. La guerra in Ucraina condiziona la campagna. Emmanuel Macron potrebbe essere rieletto senza combattere. Nella famiglia gollista si moltiplicano defezioni e passaggi di campo, con l’occhio alle legislative di giugno. Un seggio all’Assemblea vale più della lealtà. Si sa, la vittoria ha molti padri, la sconfitta (in questo caso anticipata) è orfana.Una donna in corsa per l’Eliseo non è tuttavia un fatto rivoluzionario. Lo sarebbe se un giorno lo conquisterà. Nella Francia di Luigi XIV, Napoleone e Charles de Gaulle, la «monarchia presidenziale» prevede che ci sia un re e non una regina. Ma «il tempo delle donne è arrivato», spera ancora Valérie. Per la storia, altre donne ci hanno infatti provato prima di lei. E tre donne sono oggi protagoniste nella partita: la Pécresse, la leader di estrema destra Marine Le Pen e la socialista Anne Hidalgo. Sarebbe la seconda volta che una candidata socialista corre per l’Eliseo, dopo Ségolène Royal nel 2007.
In Francia, le donne si sono fatte largo prima che in Germania e in altri Paesi europei e in numero maggiore, sia nella corsa all’Eliseo, sia in posti di altissima responsabilità. Basti ricordare il primo ministro Edith Cresson, nominata da Mitterrand nel 1991, Simone Veil, prima all’Assemblea nazionale e poi al parlamento europeo a Strasbourgo, Christine Lagarde alla testa della Banca centrale europea, infine Anne Hidalgo alla guida della Capitale per due mandati. Arlette Laguiller è stata la prima, nel 1974. Una sfida impossibile, non in quanto donna, ma in quanto leader di un partitino trotskista. Arlette Laguiller ha 81 anni. Si è candidata sei volte e ha ottenuto il 5,3% dei voti nel 1995.
Ma la strada della parità di genere è ancora lunga. Non solo in politica. Il presidente, il primo ministro, i presidenti dell’Assemblea e del Senato, e i leader dei principali partiti (ad eccezione del Rassemblement National) sono uomini. Nella società, il machismo imperversa. Ha fatto breccia il movimento#MeToo nell’industria cinematografica, per poi allargarsi alla letteratura, allo sport, ai media, al mondo accademico e finalmente alla politica. Non si è trattato di voci, ma di rivelazioni che hanno colpito l’ex presidente Valéry Giscard d’Estaing e recentemente Nicolas Hulot, leader dei verdi, star televisiva, ministro della transizione ecologica con Macron. Nel 2011, fecero il giro del mondo le accuse per stupro di una cameriera di New York contro Dominique Strauss-Kahn: il più accreditato candidato all’Eliseo chiuse così la sua carriera politica.
In corsa per la presidenza
Tre protagoniste: la gollista Valérie Pécresse, la leader di estrema destra Marine Le Pen
e la socialista Anne Hidalgo
Anche Valérie Pécresse ha dovuto difendersi. Lo ha denunciato lei stessa, nel discorso con cui ha aperto la campagna, il 13 febbraio allo Zenith di Parigi. «A quel tempo (si riferisce al periodo post universitario) vivevo la vita delle giovani donne di ieri e di oggi, con promesse di emancipazione, ma anche umiliazioni subite in silenzio: come essere stata rifiutata per due lavori perché ero incinta o le molestie dei datori di lavoro e dei ragazzi nella metropolitana, fino alla violenza sessuale». «Sono una donna francese indomabile, che non si ferma davanti a niente quando c’è da difendere i compatrioti e le proprie convinzioni. E lo dico oggi: niente mi fermerà».
Nell’ascesa di Valérie c’è un antefatto divertente. Febbraio 2016. La presidente della Regione Ile-de-France è invitata a un vertice Stato-Regione sul tema dell’occupazione. Per raggiungere l’Eliseo, accetta un passaggio sulla berlina del ministro dell’Economia, Emmanuel Macron. Il giovane ministro sta meditando la candidatura alle presidenziali del 2017. Sta per «tradire» la sua famiglia politica, quella del presidente socialista François Hollande, il quale spera ancora di farsi rieleggere, nonostante un quinquennato in chiaro scuro e funestato da gravissimi attentati terroristici.
Dopo le elezioni, la Pécresse elogia Macron: «Sta facendo le riforme che la destra voleva fare e non ha mai fatto». Per formare il governo, il neo presidente vuole coinvolgere personalità diverse. Il movimento En Marche ha pescato voti a destra e sinistra e non può chiudersi. La scelta cade sul sindaco di Le Havre, Eduard Philippe, uomo della destra gollista, così determinato da fare ombra al presidente. Eppure, dopo quel primo casuale incontro, Macron avrebbe meditato una scelta diversa: la nomina di Valérie Pécresse.