Corriere della Sera, 4 aprile 2022
Mosca, il ritorno della Storia e il mito violento del nuovo impero
La Russia prende iniziative molto criticabili ed è diventata una minaccia per l’ordine mondiale. Ma credo che sia necessario cercare di indagarne i motivi. Dopo avere sconfitto la Germania a Stalingrado, nella battaglia decisiva della Seconda guerra mondiale, l’Urss, negli anni della Guerra fredda, fu una potenza ideologica, portatrice di un messaggio che aveva suscitato grande interesse e persino speranze in qualche democrazia occidentale. Era una potenza spregiudicata e spesso crudele con coloro che non condividevano le sue posizioni e i suoi metodi (penso alle purghe degli anni Trenta). Ma anche gli Stati Uniti (il maggiore antagonista) dettero prova, in alcune circostanze (penso a Cuba e al Vietnam), di sussulti imperiali. La Russia era insomma una potenza mondiale con cittadini che avevano buone ragioni per essere orgogliosi della loro patria. La Guerra fredda è finita e la Russia fatica a trovare un ruolo che corrisponda alle sue potenzialità e alle sue ambizioni. Gorbaciov, nella sua veste di segretario generale del partito, ha fatto riforme importanti e ha tentato di trasformare l’Urss in uno Stato democratico di cui sarebbe stato il presidente eletto. Ma esisteva un partito comunista che era «Stato nello Stato» e garantiva, nonostante i molti difetti, la stabilità del Paese. Tutto cambiò quando un ambizioso concorrente di Gorbaciov, Boris Eltsin, lo costrinse a sciogliere il partito e a demolire così l’intera impalcatura. Il primo risultato fu il risveglio dei molti nazionalismi che componevano l’Urss e la progressiva disintegrazione dello Stato. Eltsin ebbe il merito di privatizzare le industrie, ma i nuovi padroni si arricchirono spudoratamente, il governo non seppe o non volle esercitare un severo controllo e gli «oligarchi», come vennero chiamati, seminarono debiti, corruzione e criminalità. Un Paese che era stato il simbolo dell’eguaglianza sociale, divenne modello di spregiudicatezza e pirateria economica. Anche la scienza e la natura furono in quegli anni nemici della Russia. L’esplosione e il successivo incendio del reattore nucleare n. 4 di Chernobyl, il 26 aprile 1986, costrinse 116.000 persone ad abbandonare le loro case. I militari intervenuti per spegnere le fiamme furono straordinariamente coraggiosi, ma vennero esposti a pericolose radiazioni. Due anni dopo, il Paese fu colpito da un nuovo disastro. Il 7 dicembre 1988 un terremoto in Armenia distrusse molti centri urbani e villaggi. Per la prima volta nella storia dell’Urss, Gorbaciov chiese aiuto agli Stati Uniti e ricevette una generosa assistenza da 113 Paesi. Fu una splendida pagina di storia umanitaria, ma anche la dimostrazione dell’esistenza di molte carenze nel Paese. Privata della sua ideologia e ferita dalla natura, l’Urss rischiava di perdere prestigio e doveva dare a se stessa nuove energie e nuovi obiettivi. Doveva decidere che cosa avrebbe fatto nel XXI° secolo. Una proposta venne da due fantasiosi intellettuali. In due libri, Continente Russia e L’inconscio dell’Eurasia, Aleksandr Dugin e Aleksey Kovalev vaticinarono la nascita di un Impero euro-asiatico di cui la nuova Russia sarebbe stata creatrice e che avrebbe riunito molte repubbliche ex sovietiche. L’Ucraina ne sarebbe stato la perla. Vi era un precedente. Quando fu chiaro che l’Impero britannico, alla fine della guerra mondiale, avrebbe smesso di esistere, il governo britannico, presieduto dal laburista Clement Attlee, creò un «Impero social-democratico»: il Commonwealth. Vi furono ostacoli, fra cui qualche resistenza dell’India. Ma Londra riuscì abilmente a convincerla che il Commonwealth le sarebbe stato utile nella fase in cui quell’enorme Paese doveva conquistare il consenso delle molte popolazioni disseminate sul subcontinente e garantire che avrebbero avuto migliore fortuna. Putin non aveva queste virtù. La guerra, come strumento per la conquista del potere, appartiene alla sua cultura e alla sua formazione. Non perseguiva solo un obiettivo politico. Voleva conquistarlo con le armi. Una guerra vinta gli avrebbe permesso di esercitare il potere con una autorità che una vittoria diplomatica non gli avrebbe mai concesso; e gli avrebbe dato la forza per lanciare una crociata contro altri nemici: il liberalismo, la democrazia e i diritti, fra cui il rispetto della omosessualità, che la società moderna aveva conquistato nel corso della sua storia. Ma non vi è stata nella storia recente dell’Ucraina una sola guerra: ve ne furono altre due. La prima fu quella delle armi, scoppiata quando Putin invase l’Ucraina il 24 febbraio 2022 e che si combatte ancora con 120 mila russi sul terreno, la fuga all’estero di 4 milioni di persone e, mentre scrivo, quasi mille civili morti e 1.459 feriti. La seconda è quella delle sanzioni. Stanno duramente colpendo tutte le economie europee in una situazione già molto aggravata dalle ricadute sociali ed economiche della pande-mia. E la terza è una guerra pressoché inedita che molti chiamano ibrida o cibernetica. È resa possibile dagli straordinari progressi dell’informati-ca negli ultimi decenni e permette di diffondere notizie false (fake news), ordire trame, allarmare le popolazioni per meglio subordinarle alla volontà di un tiranno. Si combatte ora in Ucraina, ma i conflitti potrebbero estendersi e diventare la Grande guerra del XXI secolo.