Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  aprile 04 Lunedì calendario

Intervista al Papa


Francesco, di ritorno a Roma, raggiunge in fondo all’aereo i giornalisti che lo hanno seguito nei due giorni a Malta. Dopo la messa davanti a 20 mila fedeli, ha parlato di «guerra sacrilega». Ora ascolta serio il racconto di Busha, «non lo sapevo, sempre la guerra è una crudeltà, una cosa inumana».
Santità, ci sono guerre giuste?
«Ogni guerra nasce da una ingiustizia, sempre. Perché così è lo schema di guerra, mentre non c’è quello di pace. Per esempio: fai un investimento per comprare armi, “ne abbiamo bisogno per difenderci”, e questo è lo schema di guerra. Finita la Seconda guerra mondiale si diceva: mai più dopo Hiroshima e Nagasaki, è cominciata la volontà di lavorare assieme per la pace, c’erano tante speranze nel lavoro dell’Onu. Settant’anni, e l’abbiamo dimenticato. Lo schema della guerra si impone, si è imposto un’altra volta. E noi non possiamo pensare un altro schema, perché non siamo abituati a pensare nello schema della pace. Ci sono stati dei grandi, come Gandhi, che hanno pensato nello schema della pace. Ma noi come umanità siamo testardi, eh?»
In che senso?
«Siamo innamorati delle guerre. Lo spirito di Caino. Non a caso all’inizio della Bibbia c’è questo problema: lo spirito “cainista” di uccidere, invece dello spirito di pace. Quando sono andato nel 2014 a Redipuglia e ho visto i nomi dei ragazzi, ho pianto con amarezza. Uno o due anni dopo, era il giorno dei defunti, sono andato a pregare ad Anzio. Ho visto i caduti, c’erano i nomi, tutti giovani, e anche lì ho pianto. Bisogna piangere sulle tombe. Quando c’è stata la commemorazione dello sbarco in Normandia, i capi di governo di sono riuniti per commemorare, ma non ricordo che qualcuno abbia parlato dei 30 mila soldati giovani che sono rimasti sulle spiagge. Si aprivano le barche, uscivano ed erano mitragliati. La gioventù non importa. Questo mi fa pensare, mi fa dolore. Non impariamo. Il Signore abbia pietà di noi, di tutti noi. Siamo tutti colpevoli».
Lei ha detto che un viaggio a Kiev è sul tavolo. Il presidente della Polonia ha lasciato aperta la porta a un suo viaggio al confine. La sua presenza sembra necessaria. Un viaggio è fattibile? E a quali condizioni?
«Io sono disposto a fare tutto quello che si debba fare, e la Santa Sede, soprattutto la parte diplomatica, il cardinale Parolin e monsignor Gallagher, stanno facendo di tutto. Non si può pubblicare tutto quello che fanno, per prudenza, per riservatezza, ma siamo al limite del lavoro. Fra le possibilità c’è il viaggio. Il presidente della Polonia mi ha chiesto di inviare il cardinale Krajewski a visitare gli ucraini, è andato già due volte, ha portato due ambulanze. L’altro viaggio che qualcuno mi ha domandato, in Ucraina, io lo dissi con sincerità che avevo in mente di andarci, che la mia disponibilità sempre c’è, non c’è il no. Ho detto che è sul tavolo, è lì come una delle proposte arrivate. Ma non so se si potrà fare, se è conveniente farlo e sarebbe per il meglio, è nell’aria tutto questo. Poi da tempo si era pensato ad un incontro con il patriarca Kirill, si sta lavorando e si sta pensando al Medio Oriente per farlo».
Lei dall’inizio della guerra ha parlato con Putin? Se no, cosa gli direbbe oggi?
«Gli direi le cose che ho detto alle autorità di ogni parte, sono pubbliche. Non ho un doppio linguaggio, è sempre lo stesso. Nessuna delle cose che ho detto è riservata a me. Ne ho parlato con il patriarca. Il presidente della Russia mi ha chiamato a fine anno per farmi gli auguri. Il presidente ucraino l’ho sentito due volte. E ho pensato il primo giorno di guerra che dovevo andare all’ambasciata russa presso la Santa Sede per parlare con l’ambasciatore, fargli domande e dirgli le mie impressioni. Questi sono i contatti ufficiali. Ho sentito l’arcivescovo maggiore di Kiev e la giornalista Elisabetta Piqué che adesso è a Odessa. Ho parlato col rettore del seminario. Vorrei darvi le condoglianze per i vostri colleghi che sono caduti. Il vostro lavoro è per il bene comune e sono caduti al servizio del bene comune. Non dimentichiamoli. Sono stati coraggiosi e io prego per loro perché il Signore dia loro il premio per il lavoro».