Corriere della Sera, 4 aprile 2022
Le misure sul petrolio
Di fronte all’evidenza dei crimini in Ucraina, la macchina di Bruxelles è tornata a muoversi e sembra destinata ad accelerare ancora nei prossimi giorni. Una nuova lista di prodotti per i quali verrà proibita l’esportazione dall’Unione europea o che non si potranno più importare dalla Russia è pronta da sabato, il giorno in cui sono arrivate le immagini di Bucha. Sabato stesso si sono riuniti i rappresentanti dei ventisette governi per mettere a punto il nuovo elenco di sanzioni. Oggi saranno messe a punto le liste doganali che domani dovrebbero essere approvate formalmente dalla Commissione europea. Già mercoledì l’elenco allargato di restrizioni commerciali contro Mosca dovrebbe diventare legge europea dopo una procedura di silenzio-assenso fra i governi.
Il problema politico, destinato a deflagrare già da oggi, è che per ora nella nuova lista di sanzioni – la quinta in poco più di un mese – non c’è quel che conta di più: nessuna misura su gas, petrolio o carbone, che fruttano alla Russia oltre un miliardo di euro al giorno; nessun intervento neppure su alluminio, nickel, rame, ferro, oro, diamanti e le altre materie prime minerali o metallifere – lavorate o meno – che rappresentano la seconda voce di entrate dall’estero per Mosca dopo le fonti fossili. Con il passare delle ore, cresce fra i negoziatori europei l’impressione che questo stato di cose non sia più sostenibile politicamente. La giornata di oggi sarà usata da Ursula von der Leyen e alcune delle figure attorno alla presidente della Commissione per ripensare a tutte le opzioni che restano sul tavolo.
Di certo non ne mancano. Mercoledì scorso l’Italia nelle riunioni di Bruxelles è tornata a chiedere un tetto comune europeo al prezzo del gas siberiano importato, per trasferire meno risorse alle aziende di Stato russe e ridurre i costi su famiglie e imprese. Quest’idea era stata bloccata agli ultimi vertici europei, a Versailles il 10 marzo e a Bruxelles il 24 marzo, per l’opposizione di pochi Paesi: l’Olanda, perché ospita la piattaforma finanziaria del mercato del gas in Europa, la Svezia, perché soggetta alla pressione di un grande produttore di gas come la Norvegia, e la Germania, per timore di perdere le forniture.
Ora però il quadro sta cambiando. In tempi brevi, misure sul petrolio sembrano più probabili che misure sul gas. Intanto, in settimana Nature pubblicherà una lettera firmata da un economista consigliere diretto della cancelleria di Berlino come Axel Ockenfels (assieme all’altro tedesco Guntram Wolff e all’italiano Simone Tagliapietra) che illustrerà alcune strade per tagliare i pagamenti alla Russia, cercando però di non interrompere subito i flussi di energia. La prima è la proposta italiana di un tetto al prezzo del gas. La seconda prevede una tariffa crescente sul petrolio russo, che vada a carico di Mosca senza aggravi sul costo finale per l’Europa. La terza contempla che i pagamenti per l’energia si facciano su un conto vincolato, che si sbloccherebbe solo al ritiro dell’esercito russo dall’Ucraina. Alla cancelleria di Berlino le ipotesi sono allo studio da settimane. Fino a ieri senza esito. Da domani, il quadro potrebbe cambiare.