il Fatto Quotidiano, 4 aprile 2022
Intervista a Achille Occhetto
Che idea ha dell’Europa? È divenuta parte decisiva in questo tragico versante della storia oppure si conferma come il solito vaso di coccio?
«La guerra ha messo ancora di più in evidenza il limite di non essersi mossi nella direzione di una vera Europa politica, quella di Altiero Spinelli, capace di parlare con una voce sola. Tuttavia il modo con cui ha reagito nei confronti delle uscite di Biden mi sembra che riveli una sia pur timida distinzione dalla prospettiva che ha in testa il presidente Usa».
Che effetto le fa vedere Mosca che dette il suo sangue per liberare l’Europa dal nazismo e dal fascismo, la città in cui la sua generazione andava in pellegrinaggio, divenire la capitale di un Paese che sventra e distrugge?
«Io non sono andato in pellegrinaggio da nessuna parte. Il mio primo documento politico, avevo vent’anni, è stato di condanna dell’intervento sovietico in Ungheria. È vero che per un periodo di tempo troppo lungo abbiamo creduto che in Urss ci fosse il socialismo e che, per quanto diversi, non siamo stati innocenti. Ma è da molto, ancora da molto prima della svolta, che non colloco più la Russia nel mio album di famiglia. Gli atti scellerati che nascono dalla visione imperiale di Putin mi fanno inorridire come quelli di tutti gli altri imperialismi a Est come a Ovest. Per questo lo scontro non è più tra Oriente ed Occidente ma tra democrazia, quella autentica e inclusiva, e totalitarismo. Ma non basta dirsi democratici se in una democrazia la libertà non coincide con l’uguaglianza».
Lei spiega che il socialismo ancora oggi è necessario. E ha voluto che il titolo del suo libro fosse: “Perché non basta dirsi democratici”. Ma la sinistra che evoca non esiste. Non si vede, non ha parole.
«È vero. Ma è lecito pensare a cose che ancora non esistono. Anche per questo si scrivono i libri e non i tweet dell’attuale politica».
Pensa che Andreotti, Berlinguer o Craxi avrebbero assunto la medesima linea del governo Draghi? Glielo chiedo perché storicamente l’Italia ha sempre provato ad avere nei confronti degli Usa e della Nato una posizione non totalmente allineata.
«In realtà ricordo che nella Prima Repubblica le forze di governo hanno usato l’atlantismo come una clava discriminante, malgrado alcuni sporadici sussulti di autonomia cancellati dalla vergognosa adesione alla sporca aggressione all’Iraq. Nonostante gli evidenti errori del cosiddetto Occidente, non c’è nessun dubbio che di fronte a un’aggressione si sta decisamente dalla parte dell’aggredito e lo si aiuta con tutti i mezzi. Oggi la visione imperiale a direzione totalitaria di un paese capitalista qual è la Russia va combattuta senza se e senza ma, sia pure con le accortezze diplomatiche che sono mancate a Biden. Ma il vero problema, che non mi sembra compreso, non solo da Draghi, è un altro. Ed è che è lecito parlare degli errori compiuti dall’Occidente, riguardanti la mancata accortezza volta a mettere in campo una politica estera di più alto respiro, volta a coinvolgere tutti nella ricerca di un comune modello di sicurezza collettivo, e sul tema di una nuova riorganizzazione dei rapporti internazionali dopo il crollo del bipolarismo della guerra fredda. Tuttavia l’analisi degli errori del passato deve servirci non tanto per assumere atteggiamenti equidistanti, quanto per incominciare a pensare alla futura riorganizzazione delle relazioni internazionali. A un nuovo ordine mondiale. In sostanza si tratta di capire che bisogna andare oltre il vecchio atlantismo».
Questo libro è il suo testamento politico. Dice che ha elaborato il lutto della morte del socialismo reale, ma ripropone l’ecosocialismo, un po’ come quelle auto nate col motore a scoppio e poi passate all’ibrido. Meno inquinanti ma assai meno potenti.
«Le macchine più potenti della politica ci hanno portato a questo disastro. Punto e a capo. Ma in realtà il mio libro è molto di più della elaborazione del lutto, va considerato come il compendio dei “fondamentali” per una sinistra all’altezza del nostro tempo, come una sorta di manifesto politico. Cercando di fornire anche una risposta attuale alla crisi del rapporto tra cittadini e politica, crisi che non si può risolvere sul solo terreno delle nomenclature partitiche, di gusci vuoti, ma mettendo in campo le grandi tensioni ideali e le alternative programmatiche, che si contendono la direzione del Paese. In fondo evoco la necessità di una rivoluzione culturale contro le barbarie del mondo, e il mondo è barbaro perché costruito sulla diseguaglianza. Il messaggio di fondo è questo: è il momento, ed è legittimo, di pensare a una società diversa per cambiare il modello di sviluppo neoliberista che distrugge l’ambiente, nel contesto di una sintesi alta tra questione sociale e questione ambientale nella direzione dell’ecosocialismo».