il Giornale, 4 aprile 2022
Inchiesta sui collezionisti d’arte in Italia
Dimmi che opera d’arte hai e ti dirò chi sei. Avere un Fontana o un Botero in casa è privilegio per poche tasche, identifica con un battito di ciglia lo status economico di chi li possiede. Prima di tutto, però, l’opera d’arte, l’oggetto di design, l’orologio o il gioiello carichi di storia comunicano gusti, valori, modi di essere e di vivere suggellando l’appartenenza a un’élite culturale. Senza dimenticare la vanità, visto che l’ambizione di tanti collezionisti è comparire tra i top collector delle riviste di riferimento, da ARTnews ad ArtReview o Art+Auction.
Gli esperti del settore spiegano che in questo campo gli italiani sono discreti e riservati, non amano ostentare, e resta il fatto che – in ogni caso – pochissimi vantano collezioni faraoniche paragonabili a quelle di Abramovich (pre-sanzioni, ora si vedrà), Pinault o Bezos. I top collezionisti tricolori che figurano di solito nelle maggiori classifiche internazionali sono solo due, Miuccia Prada con il marito Patrizio Bertelli e Patrizia Sandretto Re Rebaudengo.
Collezionare Bellezza procura piacere estetico ed è anche un investimento che genera aspettative finanziarie, cosa – quest’ultima – che vale soprattutto per le ultime generazioni.
Ma a prescindere dalle motivazioni d’acquisto, i collezionisti fanno bene al sistema dell’arte. Sono loro il motore del mercato e il mercato irrora il sistema dell’arte. Non vi sono dati ufficiali su quanti siano in Italia, ma incrociando i dati di gallerie, fiere ed aste si deduce che siano intorno ai 7mila: questo suggerisce Guido Guerzoni, esperto di economia dell’arte, docente alla Bocconi. Qual è il valore delle loro collezioni? Intesa Sanpaolo Private Banking ha condotto una ricerca per ricavare profili, tendenze, gusti, collocazione geografica dei collezionisti di italiani. Lo ha fatto in collaborazione con Artissima, fiera d’arte contemporanea di Torino, attingendo a un database di 4.700 persone. Secondo quest’indagine, una bella fetta di collezioni ha un valore tra i cento mila e un milione di euro. I collezionisti più facoltosi – spiega Guerzoni – investono in questi beni l’8% del patrimonio, con un 4% destinato a gioielli, preziosi, oggettistica, e il restante all’arte. Stando alla Barclays Ledbury Research, i paperoni cinesi stanziano per le collezioni il 17% del patrimonio, i Sauditi il 17%, i Brasiliani il 15%, gli Inglesi il 7%, gli Americani il 9%, e più la percentuale si alza e più dominano gioielli e metalli preziosi.
Il budget annualmente destinato dagli Italiani agli acquisti non supera i 50.000 euro nel 67% dei casi e per l’85% rimane comunque inferiore ai 100mila. La grande maggioranza (88%) acquista in media ogni anno meno di dieci nuove opere. Quanto alle professioni, i collezionisti di casa nostra si muovono tra finanza, mondo legale e imprenditoria, oltre il 50% vive tra Lombardia (30,7%) e Piemonte (21,2%), quindi Lazio (9,1%), Emilia-Romagna (4,2%) e Veneto (3,5%). Le tre aree urbane più dinamiche sono Milano (23%), Torino (16%) e Roma (9%), ma c’è poi una diffusione capillare nelle ricche provincie.
Milano lascia tutti alle spalle per via della lunga tradizione. Lo conferma Nicola Ricciardi, direttore artistico di Miart, fiera milanese (chiusa ieri) rivolta all’arte del Novecento e contemporanea. «L’edizione precedente si è svolta nel settembre 2021 quando ancora era difficile viaggiare. E nonostante la situazione complessa, la fiera ha avuto successo perché il flusso di collezionisti arrivava dai nostri territori». Per il suo piglio internazionale, Milano conosce un fenomeno diffuso all’estero e meno da noi: l’associazionismo dei collezionisti – il caso esemplare di Acacia – che si riuniscono per sostenere l’arte e gli artisti, condividendo passioni, gioie ma anche i dolori del collezionismo tricolore. Che sono anzitutto fisco e burocrazia (vedi anche il box in queste pagine).
Dopo un secolo dominato dal collezionismo maschile, si registra, se non proprio un’inversione di tendenza, certo un cambio di marcia. L’ultimo ventennio ha visto l’ingresso in scena di un pubblico di acquirenti femminili che ora rappresentano il 30% dell’intero segmento. Va però detto che oltre confine i numeri aumentano più che da noi, visto che nell’ultimo anno la spesa delle collezioniste è cresciuta addirittura del 13%.
In Italia l’età del collezionista medio è di 55 anni, mentre oltralpe, per non parlare di oltreoceano e Oriente, l’età scende. Al punto che la classe anagrafica più impattante – pari al 52% del totale dei compratori – è quella degli under 40, di fronte a una generazione X (i nati tra il 1965 anni e il 1980) che non supera il 32%. «All’estero – commenta Guerzoni – c’è un sistema economico diverso, che consente di diventare benestanti già in gioventù, soprattutto se si orbita nel mondo dell’alta tecnologia». In pratica si accumula alla svelta un tesoretto che consente di coltivare subito i piaceri che dalle nostre parti si riservano a un’età più avanzata.
Un elemento è comune a qualsiasi latitudine: i giovani sono più attenti dei padri e dei nonni ai risvolti economici, non si accontentano del dividendo estetico. Secondo la ricerca UBS (Art Collectors Survey 2021), fra quanti hanno speso più di un milione di dollari nel campo del collezionismo, ovvero il 15% del totale, 6 su 10 erano millennial.
Le tipologie più ricorrenti dei collezionabili d’arte sono i dipinti (21%), fotografie (17%), sculture (16,3%) e i disegni o altre opere su carta (16%). Il numero medio delle opere in collezione è 118. Ad averne meno di 20 sono il 29% degli appassionati, tra le 20 e le 49 il 27%, tra le 50 e le 99 il 16% e oltre quota 100 va il 24% del totale.
L’epoca vincente è la contemporaneità, solo il 13% dei collezionisti raccoglie arte moderna. I Vecchi Maestri, poi, sono una rarità, del resto le opere di valore disponibili sul mercato sono ormai poche: sono già finite nei musei o in qualche casa privata. Sono anche cambiati i gusti, aggiunge Guerzoni: «le generazioni precedenti avevano una vera e propria attrazione per l’antico, oggi difficilmente un collezionista vuole mettersi in casa ritratti devozionali, martiri e nature morte con selvaggina e fagiani sgozzati, tra l’altro poco consoni a dimore che privilegiano leggerezza e trasparenze». Cresce l’attrazione per gli artisti emergenti, sono in aumento le gallerie di giovani che promuovono coetanei sotto i trent’anni, «artisti già con una loro storia. L’emergente – continua Ricciardi – è una scommessa, però col rischio c’è la consapevolezza che se ne sostiene il decollo. E i costi dell’investimento sono contenuti». Secondo l’ultima rilevazione di ArtTactic (presentata nel Contemporary Art Market Report di luglio 2021), la fiducia nel mercato dei contemporanei è ai massimi storici.
Per la fine art, si compra anzitutto nelle gallerie, quindi nelle fiere e solo in ultima istanza ci si rivolge alle aste. Che invece godono di grande fortuna all’estero. Come mai questa differenza? «Nel nostro Paese – dice Guerzoni – scarseggiano le aste di contemporanea, il segmento più richiesto. Se si vuol comprare bene, puntando a una qualità elevata, ci si rivolge a gallerie e fiere». Il gallerista, poi, è persona fidata, con gli anni si costruisce un legame solido, per l’Italiano è il Virgilio della situazione anche perché in pochi possono permettersi un advisor a tempo pieno.
Dove finisce il paradiso di quadri, sculture fotografie, oggettistica preziosa? Nella maggioranza dei casi (82%) le collezioni private non sono accessibili al pubblico. Chi espone lo fa in casa, oppure in azienda (14%), o negli stessi depositi (15%). Però è in crescita il fenomeno di mecenati e filantropi che aprono un proprio museo, sostengono progetti e premi. Si va dalla Fondazione Prada, a Furla, Trussardi, Pirelli, Carlon a Palazzo Maffei. Ma la lista di anno in anno si allunga.