La Lettura, 3 aprile 2022
Su "La fine del giorno" di Bill Clegg (Bompiani)
Verso l’epilogo del nuovo romanzo di Bill Clegg, La fine del giorno, un personaggio dice a un’altro, non senza invidia: «Tu non sai niente». Sapere cosa? E perché quell’ignoranza sarebbe da invidiare?
Ciò a cui si riferisce è un mistero di antica data che coinvolge tutti gli attori dell’elaborato groviglio di torti e riparazioni che è la materia di questo secondo romanzo di Bill Clegg. Un mistero che risale a quasi quarant’anni prima: quando una tempesta emotiva si è abbattuta sulla cittadina fittizia di Wells, in Connecticut, e la vita di tre ragazze — Dana, Jackie e Lupita — ne è uscita sconvolta per sempre. «Il giorno era il 3 luglio 1969, un giovedì, una delle poche date che Dana ricorda», scrive Clegg. «Ricorda quella data perché ha segnato l’ultimo giorno di ciò che in modo impreciso definirebbe la sua giovinezza, un periodo in cui le sue azioni non avevano ancora conseguenze, o se le avevano non erano molto importanti. Almeno non per lei».
Bill Clegg ritorna alla fortunata formula del suo romanzo d’esordio Mai avuto una famiglia (Bompiani), finalista al Booker Prize 2015, dando voce ai punti di vista delle tre protagoniste, che alterna, un capitolo alla volta. E siccome ciascuna di loro conosce solo una parte dei fatti che hanno portato Dana e Jackie a una rottura incandescente e Lupita a rifarsi una vita molto lontano dalla East Coast, l’unica persona nella posizione di completare il puzzle dei tradimenti, gli abusi e le responsabilità, sarà, alla fine, il lettore.
È un’architettura narrativa ambiziosa, quella di questo romanzo sull’ambiguità dell’amicizia e la carica tossica dei segreti, molto ben tradotto da Beatrice Masini. Ma l’ambizione non stupisce, trattandosi di uno scrittore e agente letterario che ci ha abituato a exploit straordinari, come il cinquantenne americano Bill Clegg.
Alcuni anni fa toccò il fondo dell’autodistruzione con la dipendenza da crack, alcol e sesso selvaggio; contro ogni probabilità, se ne è tirato fuori, e ha raccontato quell’esperienza in due memoir di grande impatto. E avendo riconquistato la fiducia dei suoi autori ha ripreso la carriera di agente, confermandosi come uno dei talent scout di punta negli Stati Uniti. Per capirsi, quello che rappresenta Emma Cline, Ottessa Moshfegh, Helen Macdonald e Lauren Groff.
Clegg affida il compito di mettere in moto gli eventi di La fine del giorno a di Dana Goss, una ricca signora di 68 anni, bisessuale e senza figli, che incontriamo nel suo appartamento dell’Upper East Side di New York, nel momento in cui si prepara a una missione: recarsi nella cittadina dove ha passato parte dell’infanzia e dell’adolescenza, per sfidare l’ex amica del cuore Jackie a prendere atto di una sinistra verità che è rimasta sepolta per quarant’anni. A spingere Dana ad agire adesso è la consapevolezza che nella sua mente sta avanzando l’Alzheimer.
Il fatto è che lei è l’unica persona in possesso dei documenti capaci di provare ciò che è realmente accaduto a Wells in quei lontani anni a cavallo tra i Sessanta e Settanta. Seduta sul sedile posteriore della berlina guidata dal suo chauffeur, Dana porta dunque con sé la valigetta che contiene quelle carte. La sua determinazione a sventolarle sotto il naso dell’ex amica è allo stesso tempo una sfida e una richiesta di assoluzione.
Tuttavia l’amica — Jackie — non ha intenzione né di raccogliere la sfida né tantomeno di assolvere l’arrogante Dana, anche se da bambine erano state molto unite, e da ragazze avevano condiviso una di quelle passionali amicizie d’adolescenza: quando Dana arrivava a Wells ogni venerdì per passare il weekend nella maestosa villa di famiglia; e quando Jackie l’aspettava tutta la settimana nella casetta piccolo borghese dei genitori, del tutto simile a quella in cui sarebbe poi vissuta da giovane sposa e madre di due figli.
Il prestigio che emana Edgeweather, la proprietà dei Goss, diventa il termine di paragone con cui tutti gli attori di questa vicenda saranno costretti a misurarsi. «Non era la casa più grande di Wells, e nemmeno la più importante. C’erano altre case, soprattutto sulla South Main Street, dove presidenti, senatori e ogni genere di notabili del passato avevano abitato o dormito. Tutti a Wells crescevano con le storie di Noah Webster che scriveva parti del suo dizionario e di Ronald Reagan che giocava a touch football sul prato davanti a Great Elm».
È dunque in questo scenario d’élite che entra in scena il terzo dei personaggi principali del dramma: Lupita, la piccola messicana coetanea di Dana e Jackie, che entrambe snobbano. La vita di Lupita è una lunga catena di umiliazioni e abusi. Umiliazioni perché nel Connecticut dei wasp gli insulti razzisti cominciano quando Lupita sale sull’autobus della scuola. E abusi perché suo padre, che lavora come factotum a Edgeweather, è un uomo rabbioso e sofferente che quando va in collera tira ceffoni e pugni. Infine, ignaro della tela di ragno che unisce la sorte di Dana, Jackie e Lupita alla sua, c’è il giornalista Hap, che si è appena dimesso dal «Philiadelphia Enquirer» per occuparsi della sua figlia neonata; c’è Alice, la premurosa madre di Hap; e c’è l’uomo da cui Alice lo ha avuto, Christopher: un fotografo di guerra la cui morte per una banale caduta mentre è in visita dal figlio, accende in lui il desiderio di scavare nel suo passato.
Clegg scrive delle differenze di classe usando una prosa il cui compito principale non è attirare l’attenzione, ma sostenere una complessa architettura narrativa; dimostra notevole talento nel trattenere e dosare le informazioni giocando con le aspettative del lettore; e sa affrontare un argomento politico come le differenze di classe nella poco democratica America senza scadere nel didascalico. Il risultato è un romanzo di grande respiro in cui nulla è come appare; in cui il desiderio è una forza disperata, il passato è un nemico che non si può sconfiggere, e in cui la verità è che non c’è nessun ordine da ripristinare.