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 2022  aprile 03 Domenica calendario

Biografia di Elena Sofia Ricci raccontata da lei stessa

Impegni tondi: “Devo ancora finire di rispondere ai messaggi di auguri: sono circa 600”.
Non ha WhatsApp.
No, preferisco vivere.
Auguri per i sessanta.
Eppure non me li sento.
Il messaggio che l’ha colpita maggiormente? 
I compagni di scuola: siamo tutti stupiti dei nostri 60.
A 18 anni cosa pensava dei sessantenni? 
Mia madre la vedevo decrepita già quando ne aveva 36; un giorno, e da 14enne, pensavo a quando sarebbe arrivato il 2000 e a 38 anni mi catalogavo “anziana”.
Sbagliava.
Era diverso: se vedo le foto di allora (ci ripensa, pausa e sorride)… forse ho una percezione sbagliata di me stessa, e magari le mie figlie pensano di me la stessa cosa.
Gliel’ha chiesto? 
Sì…
E? 
Me vedono vecchia.
(Elena Sofia Ricci è una delle migliori attrici italiane. Ha un curriculum, tra film, teatro, televisione e premi, lungo come un elenco del telefono. Eppure per tre, quattro volte ringrazia Sorrentino per il ruolo di Veronica Lario in “Loro”, come se quella parte fosse la sua consacrazione, la sua rinascita, la sua rivincita; poi da artista utilizza tutta la sua vita, bella e brutta, drammi e gioie, come un modo per scavare, per affrontare e capire. Ma senza confondere i piani. Senza far diventare il dramma un orpello da esibire e la gioia una conseguenza dell’esibizione. Attualmente è sul set, poi impegnata con la regia teatrale de “La fedra” di Seneca e in scena e con un’opera di Tennesse Williams e la guida di Pizzi).
È una bella donna.
Grazie, mi difendo e poi sono cambiati certi costumi; mamma si vantava di non prendersi cura di se stessa: magnava e fumava che era una bellezza. Si vedeva.
Lei non fuma.
Ho smesso a trent’anni dopo uno sguardo più attento davanti allo specchio: stavo diventando grigia; (pausa) vivevo della mia passione, mi sentivo bene, ero contenta e allora mi sono chiesta: “Valgo così poco da farmi male?”.
Domanda da analista.
Avevo iniziato un percorso durato poi vent’anni.
Uno finisce in analisi perché è artista o non si è artisti se non si va in analisi? 
Chi è più sano la fa; chi ha problemi la fugge; (pausa) ricordo Ennio Fantastichini che, al funerale di Monica Scattini, tra le lacrime e gli abbracci, diede voce al suo io più profondo: “Siamo tutti diversi, ma un aspetto ci accomuna: la fame d’amore”.
È d’accordo.
Il bisogno di esserci è il minimo comun denominatore.
Di “maledetti” alla Fantastichini non ce ne sono più…
Forse si sa solo di meno; non sono una molto assidua a certi ambienti, visto il mio percorso di vita.
Cioè? 
Ho scelto di aver cura di me, di rispettare le fortune ricevute; (pausa) sono nata con un talento, un fisico e una passione e nessuno dei tre è un merito.
Certe scelte le esclude.
Magari verso gli ottant’anni mi farò qualsiasi cosa, un po’ come il nonno di Little Miss Sunshine.
Nicoletta Ercole la ricorda ragazza sul set di Casablanca Casablanca.
Perché mia madre ci lavorava (è la scenografa Elena Ricci Poccetto); Francesco Nuti è stato come uno zio, ancora ricordo il suo telegramma il giorno del mio debutto a teatro, nel gennaio del 1981: “Merda, stupenda, diavola. Firmato: lo zio Francesco”.
Che “zio” era…
Stupendo, ma non si voleva tanto bene e allora non lo capivo; anzi volevo diventare come lui, e lo vedevo spesso: per un periodo ha vissuto a casa nostra, con mamma e Pino…
Il regista Pino Passalacqua…
Il mio padre putativo, persona che ho amato immensamente e che mi ha cresciuta da quando avevo quattro anni.
Con lui ha recitato.
Detestava i nepotismi, mi ha preso solo dopo la seconda vittoria al David; (pausa) mi ha chiamata anche in Contro ogni volontà, film sulla violenza contro le donne; quando mia madre è mancata, quattro anni fa, ho rivelato pubblicamente la storia del mio abuso da bambina per colpa di un amico di famiglia.
Aveva 12 anni.
Mamma non doveva saperlo, perché senza volerlo era stata lei a mettermi nelle mani del carnefice; quando Pino mi propose quel film, ed era il 1991, mi consigliò di parlare con le donne-vittime e lì, con molta fatica, gli rivelai il segreto.
E lui? 
Non riuscì a smettere di piangere e di scusarsi. Forse sbagliai. Non avevo calcolato quanto era forte il suo amore per me; (resta ancora zitta, cambia voce, si strozza)rispettò fino alla fine il mio volere: non disse nulla a mamma. Ed è stato straordinario: mi ha donato un amore incredibile e non solo a me, basta chiedere ai suoi studenti dell’Accademia.
Il Gotha.
Con lui sono cresciuti Lo Cascio, Favino, Gifuni, Rubini, Guanciale; quest’estate ho incontrato Susy Laude e Dino Abbrescia: Susy mi ha abbracciato per Pino.
Era gelosa di Passalacqua? 
No, ho imparato presto che l’amore genera potenza e l’ho capito a trent’anni quando ho conosciuto i miei tre fratelli (figli di suo padre).
Il primo insegnamento di sua madre per stare su un set.
Per anni si dedicò a un’opera di terrorismo rispetto a quanto sono rompiscatole le attrici: i loro vezzi, capricci, a come trattavano la troupe; per questo ero terrorizzata dal rivelare i miei propositi professionali.
Mamma aveva ragione? 
Conosceva bene l’ambiente.
E Passalacqua? 
Più moderato e amava gli attori; (sorride) grazie ai miei ho conosciuto e frequentato degli artisti unici: Tino Buazzelli stava sempre da noi e Andrea Camilleri scriveva con Pino; anzi Pino è stato il primo regista dei romanzi di Andrea e quando la Rai gli ha tolto Montalbano, dal dolore si è ammalato.
Camilleri nel quotidiano.
Quando entravo nello studio dove lavoravano, al massimo intravedevo le sagome: la stanza era invasa dal fumo di sigarette.
Ha vissuto in un romanzo.
E aggiungo Mastroianni, Monicelli, la famiglia Pontecorvo, i Gregoretti, Nanni Loy. Siamo cresciuti insieme, al Villaggio dei Pescatori a Fregene; per me erano zii e i loro figli i miei amici del cuore.
Il cinema a casa sua.
Infatti sono rimasta sorpresa quando mi ha chiamato Paolo Sorrentino.
Perché sorpresa? 
Lui e Tony (Servillo) li trovavo già eccezionali, ma fuori dalla cerchia con la quale sono cresciuta; quando Ferzan (Ozptek) mi ha chiamato per Mine vaganti era un amico, ed è tutt’oggi una delle persone a me più care, mentre Sorrentino restava nell’alveo del mito; non credevo di poter essere contemplata da lui.
Addirittura.
Sì, e poi avevo un’aura nazional-popolare per via della televisione, e il cinema trattava la tv in maniera snob.
Il suo curriculum è vario.
Ci sono pure i fotoromanzi; (torna a Sorrentino) Paolo rimane l’uomo straordinario che porta l’Italia agli Oscar.
L’ha provinata a lungo.
Eccome. E alla terza convocazione gli ho chiesto: “Ora cosa devo fare?”. E lui: “Hai la parte di Veronica Lario”. Lì ho iniziato a piangere. “Guarda che sei una grande attrice”. “Ma non pensavo…”. 
Si sente una grande attrice? 
Sono una pazza attrice; mi sento una ragazza, una ricercatrice.
Veronica Lario l’ha mai contattata? 
No, però so che ha apprezzato il mio lavoro; (pausa) ringrazio tutti i registi che hanno creduto in me.
Sul set ha rischiato la vita.
L’anno scorso stavo per morire per un’infezione grave al fegato, causata da una serie di farmaci presi per curare una cisti nella colonna vertebrale che mi stava paralizzando. Sono rimasta per dei mesi in ospedale.
Pure sul set di Orgoglio
Ma no, lì fu Enrico Lucherini (agente e ufficio stampa) che per pubblicità disse che avevo rischiato per lo scoppio di una bombola.
Racconta esperienze dure con un tono lieve.
Perché è andata bene, sono ancora qui.
All’inizio cosa l’affascinava del set? 
Da bambina il reparto trucco: appena arrivavo con mamma mi precipitavo lì.
Da nazional-popolare è stata mai confusa con i suoi personaggi? 
In questi anni mi hanno chiesto di tutto: lettere di italiano quando recitavo in Caro maestro, o ai tempi di Orgoglio mi domandavano come si viveva nei primi del Novecento; per i Cesaroni incontravo bambini che mi chiamavano mamma.
Qual è stato il picco? 
Per fortuna tanti e mi hanno permesso di non venir inquadrata solo con un ruolo; forse in uno dei pochi bassi, quando avevo deciso di tornare a teatro, è arrivato Sorrentino.
1972: a cosa pensa? 
Agli anni della scuola, anni difficili per via di un’adolescenza non molto brillante; (sorride) non tornerei mai indietro, anche perché la moda del tempo non mi era favorevole: troppo cicciottina per i pantaloni a zampa di elefante. E poi collezionavo insuccessi sentimentali.
Cosa sognava? 
Avere una famiglia.
1982.
Lavoravo da due anni, avevo esordito con uno pseudonimo in Canto d’amore con Lino Capolicchio. Film bruttissimo. Fischiato a Venezia.
Era lì? 
Non ero invitata, ma ci andai di nascosto e dopo aver sentito i fischi ho pensato: “Fortuna che non sono sul palco”. Comunque erano finiti gli anni bui, ero bellina.
Esattamente quando lo ha capito? 
In realtà devo molto a Luciano Odorisio e al suo Ne parliamo lunedì: aveva visto ciò che io non avevo colto di me.
Cosa? 
Essere sensuale, anche se quel personaggio è lontanissimo dal mio io e mi dispiace per quelli che hanno pensato fossi come Alma; (sorride) lo so, è un sogno infranto per qualche cinquantenne.
In quanti l’hanno trattata da Alma? 
Nessuno; forse per il mio passato doloroso, sono stata attenta a difendermi. Un muro che allontana.
1992.
Bellissimo: ho festeggiato con Pippo Baudo a Domenica In ; quando sono entrata nel mondo dello spettacolo, il mio sogno non erano i premi, neanche il David, ma essere ospite da Baudo e da Raffaella Carrà.
Vera nazional-popolare.
È la mia anima; ma uno che si inerpica in questo mestiere lo fa per piacere al popolo, a quanta più gente possibile, altrimenti non esistiamo.
Oltre a Baudo e la Carrà, pure lei ambiva alla prima pagina dellaSettimana enigmistica?
Certo! Quella è un altro top; detto questo, ogni David e ogni Nastro sono un’emozione, e più passano gli anni e più è forte, mentre da ragazzi si è incoscienti, inconsapevoli.
2002.
Avevo da poco conosciuto Stefano Mainetti (suo secondo marito) e sono iniziati anni bellissimi.
2012.
Stava per morire mio padre: ci siamo ritrovati con tutti i fratelli.
Lina Sastri al Fatto ha dichiarato: “Mi danno solo ruoli da nonna perché sono l’unica non rifatta”.
Lina è bellissima e bravissima, però alla lista delle non rifatte aggiungerei almeno me e Margherita Buy; (sorride) con Margherita siamo nate nello stesso anno e ci siamo scambiate un augurio chiaro: “coraggio”.
Niente chirurgia, quindi.
Ho troppa paura altrimenti sarei intervenuta sul collo; (sorride) per fortuna non ho ceduto, così ora posso interpretare il ruolo di Teresa Battaglia: una sessantenne non curata, personaggio nato dalla meravigliosa penna di Ilaria Tuti.
Un grazie.
Sarebbero tantissimi; forse Armando Pugliese per me un maestro. 
Lei chi è? 
Sto ancora cercando di scoprirlo; forse una che è sempre a rischio di noia di se stessa e per questo cerca di non annoiare il prossimo.