Avvenire, 2 aprile 2022
Winston Churchill parlava così
Questa guerra ha accantonato l’oratoria in nome dell’insulto e della rissa di paese, scrivevo su ItaliaOggi qualche giorno fa. E qui si trova la differenza fondamentale: i politici veri, quelli che nella Storia restano, usano la retorica e l’arte oratoria per ispirare, motivare, spingere; gli altri la subiscono come sta accadendo a Joe Biden e Luigi Di Maio, il primo a invocare la caduta di Vladimir Putin facendosi smentire dal suo segretario di Stato Anthony Blinken; e l’altro a dargli dell’animale dopo essere stato insultato dai russi come uno che va a mangiare piatti esotici ai ricevimenti di gala (e il Governo italiano muto: complimenti, presidente Mario Draghi).
Basta prendere in mano due discorsi di Winston Churchill per rendersi conto delle differenze. Ecco il primo: martedì 24 dicembre del ’40, a pagina 4 il New York Times titola: «Testo dell’appello di Churchill al popolo italiano perché rovesci Mussolini». Churchill premette di parlare: «Con quelle che i diplomatici chiamano “parole di grande sincerità e rispetto”». «Ci piacevamo. Stavamo bene insieme, ci aiutavamo a vicenda, c’era amicizia, c’era stima. E ora siamo in guerra – adesso siamo condannati a lavorare alla reciproca rovina», scrive lo statista britannico. Quindi: «Com’è che siamo arrivati a questo? Perché? Italiani, vi dirò la verità. È per colpa di un uomo – un uomo e un uomo solo».
Benito Mussolini. Per il quale Churchill ha comunque rispetto: «Che sia un grand’uomo non lo discuto. Ma che dopo 18 anni di potere sregolato abbia portato il vostro Paese a ballare sull’abisso della rovina, questo non può negarlo nessuno (…). Ecco la tragedia della storia italiana ed ecco il criminale che ha compiuto atti di follia e di vergogna».
Passano tre anni e, il 26 luglio 1943, Churchill emana una dichiarazione congiunta firmata insieme a Franklin Delano Roosevelt, il presidente americano. «In questo momento le forze armate americane e inglesi (…) stanno portando la guerra nel cuore del vostro Paese. Questa è la diretta conseguenza della vergognosa leadership della quale siete stati schiavi ad opera di Mussolini e del suo regime fascista. Mussolini vi ha portati in questa guerra come satellite di un brutale distruttore di popoli e libertà». E ancora: «Se continuerete a tollerare il regime fascista servo del diabolico potere nazista, ne pagherete le conseguenze. A noi non piace invadere l’Italia e distruggere il vostro Paese. Ma distruggeremo i falsi leader e le loro ideologie che hanno ridotto l’Italia in queste condizioni (…). Tutti i vostri interessi e le vostre tradizioni sono state tradite dalla Germania nazista e dai vostri falsi e corrotti leader».
Direte voi: ma quindi anche Churchill e Roosevelt definivano Mussolini e Hitler criminali, corrotti, maligni, diabolici. Certamente: solo che lo facevano mentre i loro Paesi combattevano, non da bordo campo manco fosse una gara di ballo. E per essere più chiari: il discorso del dicembre del ’40 arrivava dopo che l’Italia aveva dichiarato guerra agli inglesi il 10 giugno di quell’anno e collezionato insuccessi su insuccessi. A novembre la Regia Marina era stata umiliata dalla Mediterranean Fleet nella notte di Taranto (a cui s’ispirarono i giapponesi per Pearl Harbour l’anno dopo); l’Esercito si era impantanato in Grecia dove il Duce avrebbe voluto spezzare le reni agli ellenici. E la dichiarazione con Roosevelt fu resa pubblica il 26 luglio del ’43, il giorno in cui Mussolini andò a Villa Ada da Vittorio Emanuele III e venne arrestato dopo la notte che portò alla caduta del regime ad opera del Gran consiglio del fascismo. Perché, appunto, alle parole devono seguire i fatti. Altrimenti non si fa la Storia, ma la si subisce. Anche se ci si entra lo stesso.