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 2022  aprile 02 Sabato calendario

Il punto sulle armi

Una delle narrazioni che servono a giustificare l’aumento delle spese militari invita a non utilizzare la parola “riarmo”. Le spese militari riguarderebbero soprattutto l’efficienza delle forze, il personale, la logistica, l’addestramento, le sfide del futuro come cyber-security e soprattutto lo spazio che, senza che se ne parli, sta molto a cuore alle Forze armate. Ma è davvero così?
Il Documento di programmazione pluriennale (Dpp) della Difesa mostra un’altra realtà, anche perché in sede di Stato maggiore si parla apertamente di forze armate più orientate alle spedizioni militari, più combat, per cui gli investimenti sul personale riguardano in primo luogo questa vocazione. Si discute anche di rivedere in radice il Modello di difesa italiano, ormai risalente agli anni 90 e quindi obsoleto.
I numeri.
Il bilancio a disposizione del ministro Lorenzo Guerini ammonta a 25 miliardi l’anno (24,5 secondo la Difesa, mentre l’Osservatorio Milex lo stima in 24,9) l’1,4% del Pil che l’obiettivo del 2% stabilito in sede Nato porterebbe a 38 miliardi. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio sulla spesa pubblica dell’Università Cattolica di Milano (Ocpi), l’Italia spende per il personale una cifra molto consistente pari al 60,5% contro una mediana dei Paesi Nato del 47,9. Gli Usa spendono il 37,5%, la Gran Bretagna il 32,7, la Francia il 42,5 e la Germania il 41,7. Difficile fare peggio. Questo nonostante l’Italia abbia ridotto i suoi effettivi dai 176 mila del 2012, anno della legge 244 che prevedeva di passare a 150 mila effettivi entro il 2024, agli attuali 162 mila. C’è ancora molto da fare e soprattutto occorre capire come applicare l’orizzonte strategico: “Una priorità rimane comunque innalzare e sostenere l’efficienza delle linee operative, sia delle piattaforme e sistemi combat sia degli assetti di supporto; altresì, l’efficacia dello Strumento militare non può prescindere da una adeguata dotazione di armamento e munizionamento”. Gli eserciti servono a combattere e quindi se li si finanzia questo propongono di fare.
Investimenti.
L’altra voce importante del bilancio è quella degli investimenti, dove le cose vanno molto meglio, perché nel 2021 l’Italia ha raggiunto il 28% della spesa complessiva contro una mediana Nato del 24,3%; solo gli Usa vanno meglio col 29,4% della spesa. La tendenza al riarmo, come si vede, è già in atto, rafforzata dall’istituzione del “Fondo per la realizzazione di programmi di investimento pluriennale 2021-2035” che aveva previsto uno stanziamento di 12,35 miliardi. Negli stessi anni la componente investimenti, che comprende anche i fondi in capo al Mise, è passata dai circa 4-5 miliardi degli anni tra il 2008 e il 2019, ai 6,8 miliardi del 2021 e al picco di 7,7 miliardi del 2022. Eppure il Dpp sostiene che “permane comunque la necessità di stabilizzare e incrementare, non appena il quadro complessivo lo consentirà, il trend d’investimento nelle spese militari”. La centralità della voce è ribadita senza esitazioni.
Ulteriori esigenze.
Il Dpp svolge però anche un’altra funzione, perché elenca dettagliatamente “gli ulteriori programmi che la Difesa intende avviare, al momento sprovviste del necessario sostegno finanziario” (corsivo nostro) ma che sono già state “oggetto di compiuto approfondimento”. Insomma, sono programmi già pronti, mancano solo le risorse. Il totale di questi progetti ammonta a 65 miliardi da spalmare su più anni.
I sistemi d’arma.
Il primo capitolo riguarda la “Preparazione delle forze” con programmi di ammodernamento infrastrutturale, ricerca tecnologica, formazione e centri operativi di eccellenza, sistemi di simulazione, ma anche “acquisizione di velivoli leggeri per l’addestramento basico low-cost”. Totale dell’impegno: 1,3 miliardi. Per la “Proiezione delle forze” si richiede invece una spesa di 5,9 miliardi e qui siamo su pezzi più pesanti: come il programma Future Fast Rotocraft (caro agli Stati Uniti), nuovo velivolo da trasporto tattico ad ala rotante, veicoli da sbarco e anfibi o l’ammodernamento delle navi San Giusto, Cavour oltre ai velivoli C-130. Molto lunga la lista della voce “Protezione delle forze e capacità di ingaggio” la più cospicua con 32,8 miliardi di fondi da assegnare e che prevede il comparto Cyber della Difesa, il potenziamento delle Forze speciali dei Reparti specialistici, i sistemi anti-drone, lo sviluppo del Mc-27J Praetorian, una collaborazione fra Leonardo e la statunitense Lockheed Martin, il programma di Deep Strike cioè missili di difesa ad ampio raggio (terreno su cui competono gli europei di Mbda e gli Usa con il classico Tomahawk), il rinnovamento del parco missili Aster (di nuovo Mbda così come i missili Camm-Er), i Cacciamine di nuova generazione, che insieme al completamento delle fregate Fremm alimentano Fincantieri. Quanto al “Sostegno delle forze” (13,16 miliardi) si punta sui sottomarini U212-Nfs (ancora Fincantieri), i missili Teseo (Mbda), il completamento del discusso programma Joint Strike Fighter, gli F-35 cari agli Stati Uniti, ma anche del caccia europeo Tempest e dell’Eurofighter, i nuovi velivoli EC-378 per la guerra elettronica (Bae Sysems Gb). Vengono richiesti 4,3 miliardi per il programma “Comando controllo e consultazione” dedicato alla delicata innovazione digitale e informatica anche con l’acquisizione di nuovi satelliti. L’analisi dei dati, il reparto informazioni e sicurezza fanno parte dell’ultimo capitolo, “Superiorità decisionale” dal valore di 7,3 miliardi.
Un programma molto ampio che, spiega Francesco Vignarca della Rete Disarmo, “comporta necessariamente anche l’innalzamento delle spese per nuovi armamenti. Se infatti guardiamo – aggiunge – alle richieste degli ultimi mesi, le priorità della Difesa sono sia di un rafforzamento quantitativo sia qualitativo, con la quantità maggiore di fondi impegnata per il nuovo cacciabombardiere Tempest, per l’EuroDrone armato, ma anche blindati, elicotteri e sistemi di comunicazione”.
In effetti il Dpp assicura di voler beneficiare “l’intero tessuto imprenditoriale” valorizzando “il proficuo dialogo già in atto con la grande industria”. Una idea strategica che colloca la spesa militare, e quindi lo Stato, al centro del sistema economico in un nuovo piccolo “complesso militar-industriale” in salsa italiana che attira l’interesse di molti. Troppi.