Il Messaggero, 2 aprile 2022
Noi abbiamo bisogno di Putin e Putin ha bisogno di noi
È vero che oggi l’Europa, e in particolare Germania e Italia, non possono fare a meno di tutto il gas russo. Ma è anche vero il contrario. Il secondo produttore di gas al mondo destina al Vecchio continente circa il 70% delle sue esportazioni di metano. Una quantità industriale, 155 miliardi di metri cubi, che vale circa un miliardo di euro di risorse fresche per le casse di Mosca. E, ad oggi, non esiste proprio un rubinetto di pari portata che Putin possa facilmente aprire se decide di chiudere quelli verso l’Europa.
GASDOTTI RUSSI
Non esiste nemmeno verso la popolosa e promettente Cina, senz’ altro un obiettivo di diversificazione di lungo termine per Putin. Ci vorrebbero decenni per creare le infrastrutture necessarie. Ecco perché non regge più di tanto nè il ricatto sui pagamenti in rubli all’Ue, né le argomentazioni di chi teme che imporre agli importatori, Gazprom compresa, un tetto europeo ai prezzi, può dirottare il gas altrove.
Dunque non c’è dubbio che fermare oggi il flusso di gas verso l’Europa avrebbe per Mosca un effetto boomerang. Oltre a perdere una fonte preziosa di finanziamento, Putin rischierebbe di danneggiare seriamente gli impianti di produzione. Impossibile lasciare il gas nei tubi senza comprometterne la ricchezza. Altra cosa è guardare al medio-lungo termine.
IL CANTIERE APERTO
Mosca e Pechino lo stanno già facendo da tempo, in realtà. E Xi Jinping non perderà certo l’occasione di sfruttare il gelo Russia-Europa e la guerra in Ucraina per accelerare il cantiere. Al di là della promessa di decarbonizzazione entro il 2060, Pechino ha iniziato a spingere sullo swap dal carbone al gas già in occasione delle Olimpiadi invernali. Ma la produzione nazionale cinese copre la metà del fabbisogno. Due terzi dell’import è gas naturale liquefatto, di cui dallo scorso anno la Cina è il maggiore importatore mondiale dopo il sorpasso del Giappone.
Il punto è che la Cina importa il 40% del suo Gnl dall’Australia, un avversario geopolitico che fa parte dell’alleanza Quad, Quadrilateral Secutiry Dialogue (Usa, Australia, Giappone e India). Mentre un altro 10% arriva dagli Stati Uniti. Ecco perché Pechino spinge nella trattativa già avviata con la Russia per costruire o espandere la rete esistente per arrivare al più presto a sfruttare fino a quattro gasdotti. Del resto, da tempo anche Putin guarda alle rotte orientali per smarcarsi da un occidente ben più orientato alla transizione energetica.
LA RETE
le vie del gas russo
Risale al 2014, dopo oltre dieci anni di negoziati Mosca-Pechino, l’accordo per la realizzazione del primo gasdotto, inaugurato nel 2019, che porta il gas russo dagli enormi giacimenti siberiani di Kovyktinskoye e Chayandinskoye sino a Blagoveshchensk, la città russa sul fiume Amur che segna il confine fra Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese. Nel 2021 Power of Siberia ha trasportato per circa 4.000 km circa 16 miliardi di metri cubi di gas verso la Cina.
Xi Jinping e Vladimir Putin
Entro il 2025, l’export dovrebbe salire a quota 38 miliardi l’anno. Ma proprio in occasione dell’inizio delle Olimpiadi invernali in Cina, Putin e Xi hanno siglato un altro accordo per rifornire la Cina con altri 10 miliardi metri cubi di gas. Senza contare i piani sul nuovo gasdotto, Power of Siberia 2, un tubo da 2.600 chilometri che dovrebbe partire dai campi di Yamal (in Russia settentrionale), tagliare in diagonale il paese per raggiungere poi il confine con la Mongolia, superare la capitale Ulan Bator e arrivare alla fine in Cina. S e tutto andrà secondo i piani e il progetto andrà in porto i primi flussi dovrebbero attraversare la pipeline nel 2026 e al massimo, a regime, si arriverà a trasportare 50 miliardi di metri cubi all’anno.
GLI OSTACOLI
GASDOTTO TRA RUSSIA E CINA – POWER OF SIBERIA 2
Anche mettendo in conto un’espansione del Power of Siberia e una nuova connessione negli Altai attraverso la regione del Xinjiang – tutti progetti sulla carta – nella migliore delle ipotesi si può arrivare a un incremento complessivo dell’import di 100 miliardi di metri cubi annui. Siamo ancora lontani dai 155 offerti oggi da Putin all’Europa. Inutile anche pensare a intrecci fantasiosi: le forniture verso l’Ue e quelle verso la Cina provengono da giacimenti diversi, lontani tra loro e non collegati. Servirebbero massicci investimenti per connetterli. Uno sforzo che Mosca non si può permettere. Lo può fare la Cina. Ma serve tempo. Decenni.