La Stampa, 2 aprile 2022
Cambiare sesso su Tik Tok
milano
«Ho accettato il mio passato, ormai siamo grandi amici». Sfoglia le foto di un caschetto biondo e occhi azzurri di nome Daphne e scorre le immagini di una ragazza in un costume a due pezzi, in un abito bianco da sera, in shorts e maglietta fina. «Traspare un certo disagio», dice ridendo Bryan Ceotto. Il corpo che abitava prima della terapia ormonale è diverso, ma gli occhi e il carattere sono rimasti gli stessi. Ora vive felice nei panni di un ragazzo ventiduenne di Conegliano. Si racconta sui social, dando voce alla comunità transgender, macinando milioni di like e sostegno tra migliaia di followers su Instagram e TikTok. Studia Lettere alla Statale di Milano, vuole diventare un giornalista storico e adora il calcio. Che per la sua scelta non può più praticare.
«Non tutte le squadre ti permettono di giocare a livello agonistico quando si inizia una terapia ormonale», spiega. «Da un lato per il testosterone assunto sono un uomo, dall’altro per lo Stato sono ancora una donna. Potrei scendere in campo coi maschi, ma non per giocare partite ufficiali». Anche nel mondo del lavoro tutto è più complicato. «Al primo anno di Lettere cercavo un impiego e avevo un buon livello di “passing” (capacità di sembrare del sesso opposto a quello di nascita, ndr). La mia voce però mi tradiva, non ero ancora in terapia, e molti datori mi hanno sbattuto la porta in faccia. Però non capisco che differenza faccia essere uomo o donna per fare il barista o il cameriere».
Bryan, però, si è chiesto che differenza facesse per lui essere maschio o femmina già in tenera età: «Alle elementari avevo capito che non mi riconoscevo nei gruppi sociali “bimbo e bimba”. Alle medie, vedendo i corpi cambiare, mi sono terrorizzato. Ho scoperto in quel momento la disforia di genere». Il Bryan adolescente si sentiva in trappola dentro il corpo di Daphne. «Però mi comportavo a forza da ragazzina, disprezzavo la transessualità e non accettavo di sentirmi diverso». Con un tema in terza liceo sulla musica lirica, sua grande valvola di sfogo per i momenti di crisi, è avvenuta la svolta: «Ero un fiume in piena e ho steso su carta ciò che sentivo. Il prof mi ha preso da parte, mi ha ascoltato e aiutato a trovare il coraggio di dire tutto ai miei compagni». Alcune reazioni a scuola non sono state positive: «Una professoressa mi ha detto che non ero una persona e non avevo diritto di voto». Poi è toccato dirlo ai genitori, che vivono separati. «Mamma mi ha accolto a braccia aperte», dice. «Papà, invece, temeva tutto: la cura ormonale, il bullismo, che qualcuno mi picchiasse sotto casa. Ma ha rispettato la mia scelta, ne sono felice. Anche se a volte fa ancora “deadnaming” (riferirsi a una persona transgender col suo vecchio nome, ndr) e “misgendering” (indicare una persona con un pronome del sesso opposto, ndr)».
È un percorso pieno di ostacoli quello che Bryan ha deciso di intraprendere per essere felice nel dicembre del 2020. «Il primo step – spiega – è fare sedute da uno psicologo e farsi rilasciare un documento per eseguire la Tos (terapia ormonale sostitutiva, ndr). Il secondo l’ho cominciato lo scorso giugno: iniezioni di testosterone seguiti da un endocrinologo. Io le faccio ogni 11 settimane». Racconta entusiasta pregi e difetti della cura: «Mi è aumentata la forza, la peluria. Anche la voce è diversa, ormai è mascolina. Però a causa della botta ormonale ci sono sbalzi d’umore». A complicare le cose ci si mette la legge: «Il terzo step è farsi riconoscere come Bryan sui documenti con un giudice che decreta se sono un uomo. Se la richiesta viene respinta, si passa a un consulente legale che valuta a sua volta. Una burocrazia da incubo: in poche ore un esterno può decidere come devo sentirmi, a discapito di anni di terapia». A tutto questo si aggiungono le spese. «In Italia si può fare tutto gratis il problema sta nei tempi biblici della sanità pubblica. Io mi sono mosso tramite privati: fino a 70 euro per la psicologa, agli 80 per le visite dall’endocrinologa e 180 a iniezione. Ci sarebbero anche le operazioni chirurgiche da migliaia di euro, come la mastectomia e falloplastica, ma non le ho fatte». Per ora non sono importanti, dice. Quello che conta è il riconoscimento legale della sua identità. «Per dire tra qualche anno al vecchio Bryan di non mollare, perché ce la farà». —