La Stampa, 2 aprile 2022
Vecchi russi contro giovani ucraini
C’è un aspetto neppure troppo sotterraneo ma generalmente trascurato di questa terribile guerra della Russia contro l’Ucraina ed è il contrasto di età tra due leadership: quella ucraina, che ci offre l’immagine di un presidente, di un intero governo, di rappresentanti delle istituzioni tendenzialmente giovani, preparati, motivati e determinati, ai quali non manca un’idea di futuro, e che si mostrano pronti a pagare un alto prezzo per difenderla, insieme ai valori che vi sono connessi. Idea e valori che questa leadership giovane vede rappresentati dall’Europa, e in essa realizzati, certo parzialmente e imperfettamente ma realizzati. Dall’altra parte, c’è un’autocrazia piuttosto anziana – volti da mastino, talvolta un po’ rifatti ma non per questo meno «vissuti» – che apertamente difende un’idea di passato, di grandezza perduta, di valori nazionalistici e ostentatamente religiosi (e cristiani, ma cristiani sono anche gli ucraini, un altro aspetto insensato di questo conflitto!).
Non che i giovani siano in Russia proporzionalmente molti meno che in Ucraina; al contrario, la struttura per età di ambedue le popolazioni non diverge molto, presentando, in misura persino accentuata, gli andamenti demografici tipici dei Paesi europei: diminuzione della fertilità, aumento (lento) della longevità e tendenziale riduzione della popolazione. Non si può perciò sostenere che la Russia sia demograficamente un Paese più vecchio dell’Ucraina e che, pertanto, sia la demografia, che pure conta molto per le prospettive di un Paese, a fare la differenza.
Ciò che piuttosto distingue le giovani generazioni ucraine da quelle russe è una diversa «esposizione» ai valori della libertà, che gli ucraini hanno potuto direttamente sperimentare, sia pure in modi travagliati e non lineari, mentre i russi l’hanno in gran parte vissuta attraverso i media e quel po’ di «americanizzazione» dei consumi e degli stili di vita (che oggi Putin lamenta), consentito dal miglioramento delle condizioni economiche e dagli scambi. Così non si può dire che non siano anche loro, i ragazzi russi, vittime di questa guerra, che non hanno scelto, che non comprendono, che è distante anni luce da quel mondo di aperture e di libertà che hanno comunque iniziato a conoscere.
Se le guerre sono sempre una tragedia umana – e lo sono, nelle cause e nelle conseguenze – che sparge i suoi costi senza risparmiare alcuno (se non forse i potenti), a pagarne il prezzo maggiore sono soprattutto i giovani (uomini, in particolare), con il sacrificio di vite umane, la sottrazione di figli ai genitori, di mariti/compagni/fratelli alle donne, di padri ai bambini. Questa guerra, già troppo lunga, non fa eccezione ma con una profonda differenza tra i giovani dell’una e dell’altra parte perché i giovani ucraini sanno perché combattono e condividono le motivazioni della «resistenza», mentre i russi mettono in gioco la loro vita, e spesso la perdono, senza avere la possibilità di domandare/domandarsi apertamente: «Ma perché?», e sentendo Putin e gli altri esponenti dell’autocrazia del loro Paese irrimediabilmente lontani. Sanno che non è per il loro futuro che sono chiamati a combattere, mentre gli ucraini hanno almeno la speranza di difenderlo.
E poiché i costi della guerra vanno ben oltre il tempo e i confini dei combattimenti, ben oltre i freddi numeri immediati di morti, feriti, profughi, distruzione e rovine, non saranno solo questi giovani che ora si affrontano sul campo a pagarne le conseguenze. Vi sono i costi economici della ricostruzione del capitale fisico e umano, la riduzione dell’attività economica e del volume degli scambi, la minore disponibilità di risorse destinabili a migliorare il benessere sociale, a finanziare l’istruzione, la creazione di posti di lavoro, il contrasto alla povertà e alle diseguaglianze. Le possibilità di ricorso al debito non sono infinite e comunque, in un modo o nell’altro, il debito ricade sempre sulle generazioni più giovani.
E ci sono altri costi ancora, meno visibili ma più subdoli, consistenti nella riduzione delle opportunità per i giovani esposti alla guerra e in particolare per la loro parte più povera, poiché i ricchi hanno sempre maggiori possibilità di difendersi, anche da un conflitto. Uno studio recente della Banca Mondiale (https://blogs.worldbank.org/dev4peace/when-consequences-conflicts-last-generations-intergenerational-mobility-iraq-and-vietnam) fornisce un’evidenza sconfortante, ma certo non sorprendente, sugli effetti devastanti, ampi e duraturi, di conflitti e di violenza sulla chances di vita delle generazioni giovani che vi sono coinvolte, sulla mobilità intergenerazionale, ossia sulla possibilità dei figli di raggiungere e magari superare le condizioni economiche e la posizione sociale dei genitori. Ci sono tante ragioni per le quali rifiutare i conflitti e, quando malauguratamente sono iniziati, impegnarsi al massimo perché terminino il più presto possibile. Non dovrebbe essere difficile mettere al primo posto il costo umano, sociale e psicologico che, ancora una volta, stiamo infliggendo alle giovani generazioni.