la Repubblica, 2 aprile 2022
La moda svestita
Per le più giovani nude look e trasparenze sono un diritto che supera genere e taglia. Lo conferma la stagione dei red carpet dove non sono solo le top model dalle misure perfette a esporsi alla curiosità globaleAcausa dello sganassone di Will Smith a Chris Rock in mondovisione, di quest’ultima cerimonia degli Oscar non saranno certo le mise degli invitati a essere ricordate. Però il tappeto rosso è sempre un ottimo indicatore di tendenze e fenomeni. E infatti, guardando i look una cosa balza agli occhi: i corpi. Scoperti, esibiti, mostrati. Il nude look non è una novità di per sé, ma lo è qui, in un contesto così solenne e, per certi versi, tradizionalista.Kristen Stewart era in micro-pantaloncini e camicia aperta fino in vita, i vestiti di Anya Taylor-Joy e Halsey erano rispettivamente in tulle e in pizzo (quindi coprivano poco o nulla), e così pure quello di Beyoncé. Serena Williams indossava invece un mini-abito di cristalli con le dimensioni di un costume da bagno, mentre più che vedo-non-vedo, la tunica della top-model Adwoa Aboah era vedo e basta. Ma dalle modelle un po’ ci si aspetta tenute più difficili, loro indossano abiti complicati per lavoro. A colpire qui è stato come anche bellissime donne dai corpi “normali” si siano spinte verso certi estremi; tipo Janelle Monáe, presentatasi con un lungo tubino con più aperture che tessuto.L’evidente punto in comune è l’orgoglio con cui indossavano quegli abiti, e di conseguenza il significato che spacchi, scollature abissali e velature hanno assunto. Un tempo avrebbero fatto gridare allo scandalo, giudicati come una forma di oggettivazione della donna, sottomessa così ai desideri maschili. Oggi il messaggio è ribaltato: si sono vestite così per scelta. Il corpo è loro, e lo mostrano come vogliono.«Dal lato biologico, bisogna pensare che siamo tutti programmati per reagire alla nudità», spiega Cinzia Di Dio, psicologa e ricercatrice all’Università Cattolica di Milano. «Il corpo scoperto attiva meccanismi innati: è un ottimo catalizzatore dell’attenzione». Uno strumento prezioso in certi frangenti. «Sicuramente. Sul red carpet il tempo per farsi notare è minimo, quindi è vitale distinguersi. E la nudità, anche se relativa, provoca un’immancabile reazione istintuale che trascende generi e gusti. È un veicolo molto potente».Talmente potente che è una forma d’espressione sempre più usata: Rihanna, per esempio, ha fatto un punto d’onore dell’esibire le sue forme in gravidanza contro gli stereotipi che dominano il vestire delle donne incinte. Emily Ratajkowski su certe rivendicazioni ci ha addirittura costruito la sua persona pubblica, con tanto di saggio a tema, My body.Ma, star a parte, è il dilagare del fenomeno tra la gente “normale”, i più giovani in primis, a renderlo rilevante. «Dal lato psicologico, le sue origini vanno dalla presa di posizione sociale alla rivendicazione femminista, fino alla voglia di mostrarsi perché ci si piace, e basta», dice Di Dio. «Credo però che sia essenziale il contesto in cui ci si trova».Ha ragione. Se infatti il successo di una moda sempre più scoperta va di pari passo con l’affermarsi di un ideale estetico sempre più inclusivo, dall’altro va tenuto presente che red carpet e social offrono una ribalta piuttosto protetta. «La realtà, intesa come interazione “tangibile” con il prossimo, può essere ancora complicata su certi temi. La reazione alla nudità non è sempre facile da gestire», conferma la psicologa.«In più, trovo paradossale che le donne che vogliono negare di essere oggetti, vestendosi così finiscano per sembrarlo». Al momento, ci si trova a metà strada: da una parte c’è una generazione che rivendica – sul red carpet, sui social e nel quotidiano – il sacrosanto diritto di vestirsi come vuole; dall’altro, c’è una società che sta ancora venendo a patti con la cosa. Sarà un bel match.