la Repubblica, 2 aprile 2022
Dall’insediamento di una dirigenza russa a Mariupol alle dimissioni di massa dei presidi delle scuole
— Ogni parola resa pubblica da Putin, o dai suoi uomini al fronte, va nella direzione temuta dal governo ucraino: la Russia sembra voler trattenere tutti i territori conquistati e la differenza la farà la battaglia sul campo. Il segnale peggiore per il prosieguo della guerra e per l’assedio di Mariupol. Ieri il leader degli indipendentisti del Donetsk, Denis Pushilin, ha detto alle agenzie russe di aver firmato un decreto per l’insediamento di una nuova classe dirigente nella città martire, che è la seconda realtà urbana del Donetsk, all’interno del conteso Donbass. È il principio di russificazione sperimentato a Melitopol, passato per il rapimento del sindaco Ivan Fedorov e l’insediamento della sua oppositrice Galina Danilchenko. D’altro canto, nella metà conquistata di Mariupol c’è già la sede di Russia Unita e presto si vedrà correre il rublo: è un processo a lunga scadenza, l’occupazione del Sud-Est, non solo un obiettivo militare da mostrare nella trattativa per la tregua.
Il sindaco di Mariupol lo sa, ma dalla sua metà – la zona centrale e i quartieri industriali – non cede: «Quando riconquisteremo la città e il Paese», dice Vadym Boichenko, «la Russia dovrà pagare 10 miliardi di dollari per i danni fatti, le sofferenze imposte e la ricostruzione da avviare». Anche sulla volontà dei cittadini di Mariupol e sui loro numeri la visione è opposta. Peshilin parla di 140.000 residenti che sono voluti andare in Russia, l’amministrazione in carica di «46.000 deportati».
Dentro una città che faceva quasi mezzo milione di abitanti, ci sono ancora 170.000 intrappolati e ieri ne sono usciti soltanto 6.266: la Croce rossa si è dovuta fermare di fronte alle esplosioni senza sosta. L’Onu prova a prendere il “caso Mariupol” in mano e il segretario Antonio Guterres incarica il sottosegretario Martyn Griffiths a un’esplorazione con Russia e Ucraina per un cessate il fuoco localizzato che consenta l’uscita completa dei civili.
Criticato dagli americani per la mancanza di un comandante sul campo, Putin ha scelto il più feroce: il presidente ceceno Ramzan Kadyrov sarà generale di corpo d’armata nell’invasione dell’Ucraina. Il leader- militare, che nei giorni scorsi aveva visitato in ospedale il compagno d’armi Rustam Geremeev ferito a Mariupol, coordinerà la difficile presa della città agonizzante. Non a caso è stato decorato dallo stesso Pushilin, sovrintendente di questa regione, «per il suo contributo personale alla causa della liberazione del Donbass». Il comandante di Azov, Denys Prokopenko, risponde così alle nuove profferte della controparte: «Non ci arrenderemo, combatteremo fino alla fine». Il capo militare ucraino della Regione, Pavlo Kyrylenko, promette aiuti ai soldati falcidiati nella difesa, «ma è difficile superare il blocco russo all’esterno».
Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, sa che la ricostituzione delle forze russe lontano da Kiev serve «per un nuovo attacco nel Donbass». Dice: «Ci stiamo preparando per questo». Il suo ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, spiega che questa area per i russi «è come un frutto da strappare», ma deve registrare la caduta di Izjum, nella Regione di Kharkhiv.
Ieri sera tre missili Iskander sparati dalla Crimea hanno centrato un obiettivo militare a Odessa (ci sono vittime), segno che l’attacco al Sud è ripartito. Nella regione di Cherson gli ucraini dichiarano di aver ripreso undici insediamenti, ma là dove la Russia ritiene di avere un possesso territoriale stabile, il suo esercito sta provando a organizzare referendum tra i cittadini (Tokmak, nella regione di Zaporizzja) e a far ripartire scuole impostandole sul sistema educativo russo. A Melitopol, per impedirlo, si sono dimessi diversi dirigenti scolastici.