la Repubblica, 2 aprile 2022
Intervista a Olena Zelenska, first lady dell’Ucraina
Olena Zelenska, first lady dell’Ucraina in guerra, target dei russi esattamente come il marito.Vive con i due figli in una località segreta, dove lavora all’organizzazione dei Convoy for life che espatriano i bambini, soprattutto quelli malati.Lei ha scelto di restare in Ucraina, ma avrebbe potuto comodamente andare all’estero, al sicuro. Perché ha preso questa decisione?«Perché adesso è questo il mio compito di first lady, e anche la mia vocazione. Mio marito è qui, io sto qui. Poi, tutti hanno il diritto di andarsene. Se non puoi aiutare nella resistenza, allora è meglio se te ne vai. I civili non devono diventare scudi umani, o vittime. E poi, se qui restano molti civili, risulta difficile per i militari proteggere le città.Quindi è necessario che le famiglie, in particolare i bambini e gli anziani, lascino la zona di guerra. Meglio essere un rifugiato che morire».Lei vive con i suoi figli. Come ha spiegato loro la situazione, come hanno reagito?«Ai bambini non bisogna spiegare nulla, perché vedono tutto con i loro occhi. Oleksandra è grande, ha 17 anni, ma ora sembra diventata più adulta. Kyrylo ha 9 anni, pensa sempre alla vittoria. Costruisce piani e strategie… in questo è eroico, perché è solo un bambino. Sogna di incontrare i suoi amici, che gli mancano molto, infatti parla sempre di loro. Io sono molto fortunata a non dovermi separare da loro, non so come sarei sopravvissuta senza. Non sono io il loro supporto, sono loro che aiutano me».Lei è sposata dal 2003, ma da quando conosce suo marito?«Ci siamo conosciuti a scuola, a Kryvyi Rih, la nostra città di origine.Siamo stati insieme fin dall’infanzia, ma abbiamo iniziato la nostra storia quando avevamo 18 anni».Cosa ricorda di quel tempo di felicità?«Questa domanda mi spaventa. È come se la felicità fosse finita per sempre… Voglio arrivare alla vecchiaia con mio marito, circondati da molti pronipoti. Non voglio pensare alla nostra vita come un ricordo del passato. E dico: viviamo questa vita anche adesso. Anche se è il periodo peggiore, sono sicura che finirà».Lei e suo marito siete nati quando c’era ancora l’Unione Sovietica. Cosa ricorda di quegli anni?«Era il periodo dell’infanzia, quando i tuoi genitori sono ancora giovani e non ci sono problemi, ma solo feste con regali, viaggi d’estate al mare o sul fiume… ma tutto questo non è legato all’Urss. Oggi i russi stanno facendo un ritorno al passato, che è una cosa senza senso. Quel Paese non esiste più, e non potrà esistere più. È finito tanto tempo fa. Con questa guerra, i russi hanno solo aumentato il divario tra noi e loro.Questa è la differenza; noi guardiamo al futuro, loro al passato».Ha notizie dalla sua città, che si trova a sud, quindi in grande pericolo?«Kryvyi Rih è come Genova, una città di fabbriche. Ma è uno degli obiettivi dei russi. Il primo giorno di guerra hanno attaccato lì, ci sono stati incendi e vittime. Ora è pronta a respingere nuovi attacchi».Cosa le manca di più?«La possibilità di programmare il domani. Mi manca una giornata normale, che ti alzi la mattina e vai al lavoro, stai nel traffico del centro e discuti con i bambini su cosa fare la sera, leggi la chat degli altri genitori su Messenger, dove non si parla di guerra ma di lezioni e delle attività pomeridiane. Mi manca non poter andare nei negozi, cucinare la cena. E anche rimproverare il marito che torna tardi dal lavoro, perché nel frattempo tutto si è raffreddato.Sento la mancanza di una vita normale. Adesso la definirei strana, ma “strano” è un’espressione troppo debole, non è la parola giusta».Una vita stravolta?«Sì, tutto è cambiato per noi ucraini.Avevamo una vita pacifica, sogni, progetti. Di colpo è apparso il concetto di “allarme aereo”, che avevamo visto solo nei film di guerra e nei corsi di protezione civile a scuola. E magari allora abbiamo seguito malvolentieri quelle lezioni… non avremmo mai pensato di dover mettere in pratica quella teoria. Abbiamo imparato cos’è un rifugio antiaereo, e come trovare il posto sicuro in casa se non c’è il seminterrato. E anche io, ho imparato cosa vuol dire non avere notizie dei propri cari per un giorno.Viviamo aspettando i messaggi dagli amici e dai parenti che non trovano la connessione. Tanti hanno perso il contatto con qualcuno che amano, soprattutto in certe città dove sono entrati i russi. Speriamo sempre che sia colpa della mancanza di elettricità, vogliamo credere che siano vivi».Come succede per Mariupol, una città devastata.«Aspettiamo sempre notizie da Mariupol. Guardate cosa hanno fatto i russi a un posto che era una florida città portuale come Livorno, Ravenna, La Spezia. Guardate su internet com’era prima… sembra che i russi abbiano deciso di cancellarla dalla faccia della terra. Là ci sono ancora centinaia di migliaia di persone negli scantinati. A me sembra che dopo questi eventi non solo la mia vita, e quella di qualsiasi ucraino, ma la vita di tutti non possa essere come era prima».Cosa fa lei, in concreto?«Sono concentrata sulla questione umanitaria. Stiamo evacuando bambini disabili e orfani, e i malati di cancro perché possano continuare le cure in Polonia e in Francia. Tutti i nostri ospedali si sono spostati nei rifugi, e come sa nell’oncologia non si può sbagliare, quindi abbiamo concordato che questi bambini devono essere curati all’estero. E lo facciamo perché così possiamo avvicinare l’Ucraina alla vittoria: salvando i nostri figli. È un lavoro che sto portando avanti con le first ladies di tutto il mondo, che voglio ringraziare. Stiamo conducendo una “guerra dell’informazione”, spiegando che questa non è una “operazione speciale”, ma un massacro, un omicidio collettivo».E come procede il progetto?«Proprio mentre stiamo parlando, otto “convogli della vita” con oltre 300 bambini sono arrivati in Polonia. Si trovano in questa clinica Unicorn, e penso che ai bambini questo nome piacerà molto. I medici decideranno se lasciarli lì o mandarli in altri Paesi dell’Europa. Ha aderito anche la Santa Sede: alcuni sono già al Bambin Gesù, su invito personale di papa Francesco. Proprio lui, dopo aver visitato i giovani ucraini ricoverati a Roma durante le prime settimane di guerra, ha suggerito di far venire in Italia altri bambini».Lei lavorava sui temi infanzia, cultura e dialogo con gli altri Paesi, già prima della guerra…«… e per me è ancora difficile pronunciare questa parola, mi creda. Avevo diversi progetti importanti, come l’eliminazione delle barriere architettoniche, la lotta contro la violenza domestica. Abbiamo lanciato le audioguide in lingua ucraina nei musei più famosi del mondo (come al Colosseo), perché la cultura possa parlare ucraino. Per quasi due anni lavorato sulla riforma dell’alimentazione scolastica e qualche mese prima dell’inizio della guerra l’abbiamo avviata secondo i migliori modelli europei, affinché i bambini possano mangiare cibi sani e gustosi. Voglio dire che ci stavamo sviluppando come tutti gli altri Paesi d’Europa. Ora, è come se tutto appartenesse al passato».Lei stessa diceva che bisogna affrontare il presente.«Sì. I nostri temi “pacifici’” non sono scomparsi. La barriera principale che stiamo superando è la guerra, stiamo combattendo contro la violenza che arriva dai russi. E quando si tratta di cibo, la cosa principale è che ci sia per i nostri bambini. Metà di loro sono diventati sfollati interni, il loro diritto alla salute e all’istruzione è in pericolo.Poi dobbiamo proteggere i diritti dei disabili e le donne. Lo facevamo anche prima, adesso lo facciamo in situazione di guerra».Molte donne ucraine la seguono su Instagram, la vedono come un punto di riferimento.«Non so se sono un esempio. Lo sono molte ucraine, il vero modello da seguire. Come la dottoressa Iryna Kondatrova, che salva i neonati a Kharkiv. E Natalia Pesotska, educatrice in un centro di accoglienza a Chernihiv, che ha messo in salvo trenta dei suoi orfani.È sempre stata con loro nel rifugio antiaereo, e ce li ha portati attraversando un bombardamento.Penso a Nastya Tykha, una ragazza di Irpin che ha messo in salvo i suoi fratelli piccoli, e anche un intero rifugio di animali disabili. Ecco, sono queste donne incredibili il nostro esempio. Così sono fatte le nostre donne».Le giro la domanda di una donna ucraina, Alessia, ora in Polonia: “A guerra finita, come pensa di affiancare noi e i nostri figli?”.«Li aiuteremo a tornare a casa. Ogni ucraino che si trova all’estero a causa della guerra, vuole solo questo. Oltre 3 milioni di persone sono fuggite all’estero, per lo più donne e bambini. Ormai sono sparse per l’Europa, le potete vedere anche in Italia. Sono molto stanche, hanno percorso una strada lunga e difficile. Stiamo lavorando con i governi europei per aiutarli alla nuova situazione. Pensate che hanno dovuto lasciare tutto dietro di sé: casa, affari, persone care. Le prime cose di cui hanno bisogno sono una nuova casa, un lavoro, la scuola per i figli. Quando la guerra finirà, riporteremo tutti in Ucraina».Lei aveva un ruolo importante anche prima. Aveva mai pensato di ritrovarsi a fare quello che fa oggi?«No. E sicuramente non avrei mai voluto diventare importante e conosciuta per quello che sta succedendo: la guerra».