Corriere della Sera, 2 aprile 2022
Il sindacato entra in Amazon
NEW YORK All’inizio della pandemia, il 30 marzo del 2020, Chris Smalls, un dipendente del grande centro di distribuzione di Amazon a Staten Island, alle porte di New York, venne licenziato mentre organizzava proteste e anche uno sciopero per spingere l’azienda a proteggere in modo più efficace i lavoratori dai possibili contagi.
Il giovane manager afroamericano non la prese bene anche perché, per giustificare l’interruzione del rapporto di lavoro, il gigante della distribuzione di Jeff Bezos, secondo datore di lavoro d’America con quasi un milione di dipendenti, usò proprio l’epidemia da coronavirus: Smalls fu accusato di aver violato le regole sul distanziamento, avvicinandosi troppo ai lavoratori che voleva sindacalizzare.
Far entrare le union nelle aziende è sempre stato molto difficile in un’America che non ha mai lasciato molto spazio alle rappresentanze dei lavoratori, soprattutto nel settore privato, anche perché le leggi lasciano mano libera alle imprese per bloccare il proselitismo.
Ovunque, nel mondo del commercio, i lavoratori americani non hanno rappresentanze significative. Falliti anche i tentativi dei sindacati più organizzati e con le risorse economiche necessarie per resistere in caso di lunghi scioperi, di entrare in Amazon.
Ma Chris non si dette per vinto: fondò dal nulla il suo sindacato, l’ALU (Amazon Labor Union), lo finanziò in crowdsourcing con donazioni ricevute sulla piattaforma GoFundMe, cominciò a proseliti e a organizzare proteste (anche davanti alla residenza di Bezos a Washington dove lasciò, davanti alla porta, una ghigliottina) e ieri, a due anni esatti dall’inizio della sua battaglia, l’ha spuntata: Staten Island ha votato a favore della creazione di una rappresentanza sindacale. È la prima volta che accade in Amazon e una delle prime in assoluto nel mondo Usa della distribuzione.
I lavoratori
Hanno votato in 8 mila L’azienda aveva tenuto dei seminari obbligatori per spingere il «no»
Il precedente più significativo è quello di Starbucks, la rete di 9.000 bar controllata da Howard Schultz che, nonostante le sue idee progressiste, ha sempre osteggiato l’ingresso delle unions nella sua azienda. Quattro mesi fa per la prima volta i dipendenti di un suo negozio – quello di Elmhood Village, alla periferia di Buffalo – hanno votato (19 favorevoli, 8 contrari) l’adesione a un sindacato. Altre due votazioni in negozi di Buffalo sono finite con una bocciatura della sindacalizzazione e un esito contestato: una disputa che verrà risolta in tribunale. Ora altri cento negozi di Starbucks hanno chiesto di poter votare.
Gli anni della pandemia, coi dipendenti che si sono sentiti più esposti ai rischi di contagio, hanno aumentato la sensibilità sindacale dei lavoratori, ma Amazon non è stata a guardare: ha aumentato il salario ad almeno 15 dollari l’ora, ha concesso un’assicurazione sanitaria (modesta) a gran parte dei dipendenti e ha dato qualche altro benefit (come un minimo di permessi retribuiti). I lavoratori, però, hanno continuato a lamentare condizioni troppo dure, turni estenuanti, scarsa protezione antivirus. E per le organizzazioni dei lavoratori entrare in una fabbrica o in un magazzino è rimasto molto difficile: nelle stesse ore del voto di Staten Island si è conclusa senza un esito certo anche la battaglia per la sindacalizzazione del fulfillment center di Bessemer, in Alabama.
Nel grande impianto con 5.000 dipendenti aperto nel marzo 2020 c’era stato un voto già un anno fa e una forte maggioranza dei dipendenti (1.798 contro 738) si era espressa contro l’ingresso dei sindacati in azienda. Le union hanno denunciato il voto come falsato da intimidazioni e minacce dell’azienda nei confronti di dipendenti che sono per l’85% afroamericani. Il NLRB, l’agenzia del ministero del Lavoro per i rapporti sindacali, ha riconosciuto la fondatezza del ricorso e ha disposto una ripetizione del voto, anch’esso espresso il 31 marzo. I «no» al sindacato sono stati di nuovo più numerosi dei «sì» ma di poco (993 a 875) e, soprattutto, ci sono 416 schede contestate: toccherà ai giudici decidere quante e quali considerare valide. L’esito di questa battaglia verrà, quindi, deciso in tribunale.
Nessun dubbio, invece, a Staten Island, dove le schede contestate sono state solo 67: degli 8.325 aventi diritto al voto, 3.654 hanno votato a favore del sindacato e 2.131 contro. Chris l’ha spuntata nonostante la campagna di Amazon che ha tappezzato Staten Island di manifesti in inglese e spagnolo e i seminari contro la sindacalizzazione ai quali tutti i dipendenti hanno dovuto obbligatoriamente partecipare.