Corriere della Sera, 2 aprile 2022
Zelensky licenzia due suoi generali. Erano traditori
«Non ho tempo adesso di occuparmi dei traditori. Ma presto saranno tutti individuati e puniti».
Volodymyr Zelensky li ha chiamati proprio così i due generali silurati nel suo comunicato inusualmente lungo diffuso tardi l’altra sera: «traditori» e per giunta «militari e alti ufficiali che non sanno decidere dove sia la loro patria, che violano il giuramento di fedeltà al popolo ucraino e non difendono la sua libertà e indipendenza».
Sembra un fulmine a ciel sereno nel pathos di patriottica unità contro il nemico comune che da sei settimane ha serrato i ranghi ucraini, anche se in verità la caccia a «spie e traditori» e il clima di sospetti generalizzati non hanno fatto che crescere con il protrarsi della guerra. I due alti ufficiali sono Naumov Andriy Olehovych, ex capo della Sicurezza Interna nazionale, e Kryvoruchko Serhiy Olexandrovych, ex capo dei servizi d’informazione (Usbu) per la regione di Kherson, quest’ultima presa dai russi tre settimane fa, ma dove adesso le truppe ucraine stanno contrattaccando. Due «ex» in verità, ma pare che avessero ancora forti influenze sulla macchina bellica.
Durante tutta la giornata i portavoce della presidenza non hanno fornito nessun’altra informazione, non si conoscono le circostanze delle accuse. Sia i social che i media nazionali sono estremamente parchi di dettagli, si limitano a riportare la nota ufficiale. Il commento che va per la maggiore è che i due non sarebbero agenti al servizio di Mosca, ma piuttosto ufficiali di vecchio stampo che nella giovinezza avevano servito nell’esercito sovietico prima del crollo dell’Urss e adesso faticano a stare al passo con i ritmi e gli obbiettivi dei nuovi ufficiali cresciuti e addestrati dopo la guerra del Donbass e della Crimea nel 2014, formati dalle accademie britanniche e statunitensi. Va aggiunto che le forze armate ucraine stanno ora passando da una fase iniziale di assetti difensivi ad una molto più dinamica volta a contrattaccare attivamente ed in questa logica vengono eliminati gli ufficiali incapaci di stare al passo.
Ma non è neppure escluso che il problema sia molto più grave e vada inquadrato nel contesto più generale di quella che viene chiamata ovunque «la caccia ai sabotatori». Il tema l’abbiamo incontrato in tutte le città visitate: da Leopoli, a Kiev e nei villaggi attorno, nelle stazioni ferroviarie e nei punti di interesse nazionale e anche qui a Kharkiv. Nasce dalla convinzione generalizzata nella popolazione e tra i quadri dirigenti politici e militari per cui gli elementi più filorussi del Paese potrebbero attivarsi come quinte colonne della forza d’invasione. Praticamente non c’è giornalista locale o straniero che non sia stato fermato, alcune volte anche brutalmente, dai soldati o dai volontari della protezione civile con la richiesta di mostrare i documenti e soprattutto provare di non essere un sabotatore russo. Spesso siamo stati costretti a cancellare foto e video, che, secondo gli ucraini, una volta messi in rete potrebbero aiutare le artiglierie russe ad individuare gli obiettivi da colpire.
Del resto, tali precauzioni nascono da fatti concreti. Durante i primi giorni della battaglia per la capitale, quando le teste di cuoio russe erano attestate all’aeroporto di Hostomel, cellule di combattenti russi erano riuscite a causare il caos a colpi di mitra e bombe a mano quasi sino a Maidan. E i responsabili della Difesa fanno sapere di avere messo fuori combattimento 20 cellule nemiche, oltre a 350 agenti arrestati in tutto il Paese dal 24 febbraio.