Corriere della Sera, 2 aprile 2022
Roba da mangiare
Impossibile (com’è il titolo di un suo libro). E invece così magro, secco e dritto com’è (si piega in avanti soltanto a contrasto con il vento delle montagne che frequenta) ha scritto un libro sul cibo. Non il cibo degli chef (lui preferisce la parola cuoco). Ma il cibo degli umani normali: quelli che se lo fanno in casa o lo mangiano in trattoria.
Ovvio che, essendo Erri De Luca l’autore del libro, la storia che racconta è farcita di passioni, società, politica, letteratura, religione intesa come storia.
C’è qualcosa, fin dall’inizio, dall’antipasto, che sembra suonare storto: «In una città che visito per la prima volta assaggio l’acqua di una fontana pubblica e il pane di un forno. Sono le credenziali del luogo». Pane e acqua, come in galera. Ma niente paura. Poi arriveranno: ragù, tacchino, pasta, baccalà, peperoni, salsicce, pastiera, caffè, vino rosso e molto altro.
Per completezza dell’informazione aggiungiamo che in questo libro intitolato Spizzichi e bocconi (Feltrinelli) compaiono a companatico le ricette, quelle del medico, di un biologo nutrizionista, Valerio Galasso, che ci spiega il bene delle verdure di stagione, i meriti del pesce azzurro, i demeriti della carne troppo rossa. E le ricette originali, quelle delle cuoche di casa: nonna Emma e la di lei madre Lillina.
E adesso uno sguardo al menù, «Storie di cibo familiare», come le chiama lui, che ci propone De Luca.
Un grosso spicchio di formaggio donato a un vecchio nella guerra di Bosnia degli anni Novanta del secolo scorso che «l’abbracciò, il formaggio, come fa un bambino con un giocattolo e s’incamminò tra le macerie».
Da operaio nei cantieri edili con il pane portato dai lavoratori del Sud: «Imbracciavano il pane come un violino, tagliando la lunga fetta verso il petto. Me ne allungavano una, ricambiavo versando il vino nei loro bicchieri. A differenza di tavole eleganti dove vige l’uso di mescere meno di metà bicchiere, a quelle mense il vino doveva arrivare all’orlo. Meno era un’offesa».
Il sale: «Da mia madre ho imparato che la saliera non va mai passata da mano a mano. Va avvicinata, messa giù, per essere presa da chi l’ha richiesta. Passarla direttamente in mano fa litigare».
De Luca ha ingoiato i cibi delle mense operaie e ha tracannato il vino senza nome delle più ruvide osterie. E poi ha portato il cibo ai popoli dell’equatore e agli affamati che sopravvivevano in quei pezzi di terra dai tanti nomi che una volta si chiamava Jugoslavia. Lui che in casa, da bambino, mangiava tutti i giorni primo-secondo-contorno e frutta.
Il suo piatto preferito era (e rimane) il paio d’uova, frittata o in tegamino.
Nel frattempo ha provato il cibo e l’acqua con il veleno della dissenteria, dell’ameba, della malaria africane. O magari quello buono che portava lui dall’Italia a Belgrado negli anni delle bombe. Compreso il pesto. (Divagazione: nella ricetta del pesto genovese proposta nel libro manca, in aggiunta al parmigiano, il pecorino sardo; e i puristi diranno che il basilico e gli altri ingredienti non vanno amputati nel frullatore ma bastonati nel mortaio).
Ma attenzione: il bello di questo libro è che non c’è mai un segno oltraggioso nei confronti del cibo. C’è sempre il rispetto per chi ci dà vita. C’è la riconoscenza per la manna biblica. C’è il piacere del gusto, l’amore per – l’oggi disprezzato – aglio, le carezze o le frustate che ti dà una spezia inconsueta, il sentimento che scatena una polpetta al sugo fatta di carne e pane, quella che la nonna ti voleva far mangiare perché così cresci bene, sano e diventi alto.
Erri De Luca è onnivoro: e questo gli costerà discussioni con amiche e amici suoi. Quasi sempre cucina da sé e per sé. Mangerà anche poco ma mangia bene sia dal punto di vista nutrizionale come insegna il coautore del libro, Galasso, sia dal punto del godimento. E chi mangia e beve bene, e sano, è anche capace di ridere. Ecco un estratto della «Biografia alimentare» di De Luca: «Non mi attirano intingoli e vini di alto bordo. In un film Totò perseguitato dalla fame pronuncia la parola cuoco. Pare che se la mangi mentre allunga le due vocali, uuooco. E conclude da sazio: “Che bella parola”. Sono d’accordo con lui, cuoco è una bella parola, chef veniva chiamato così il capo di un cantiere in Francia che mi ha fatto rischiare la sepoltura da vivo in uno scavo. Un paio di volte sono stato invitato a cene cucinate da chef. Roba appetitosa, tanto lavoro e ingegno, dentro piatti di forme stralunate, porzioni da assaggio, precedute da dettagliate descrizioni. Cambiano le stoviglie una decina di volte e davanti stanno allineati numerosi bicchieri. A casa mangio un piatto unico e spesso senza, direttamente nella padella».
In copertina del libro sei foglie di basilico grandi e due piccole (Erri De Luca imparerà a fare il pesto: meglio le foglie piccole e meglio ancora quelle molto piccole di Prà, non lontano da Genova città).