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 2022  aprile 01 Venerdì calendario

Dall’Ossezia al Donbass il piano di annessione attraverso i referendum

MOSCA – In assenza di vittorie militari, Vladimir Putin potrebbe presto rivendicare una incruenta vittoria politica, come lo fu l’annessione della Crimea otto anni fa. L’Ossezia del Sud che nel 1991 ha autoproclamato l’indipendenza dalla Georgia terrà un referendum per unirsi alla Russia. A rivelarlo è stato Alan Tadtaev, presidente del Parlamento dello Stato rivendicato da Tblisi, non riconosciuto né da Onu, Usa o Ue. «Abbiamo tutte le ragioni di unirci alla Federazione russa e non ci sono ostacoli perché avvenga», ha detto citato dall’agenzia di stampa russa Tass. «Credo che l’unificazione con la Russia sia il nostro obiettivo strategico, il nostro cammino, la nostra aspirazione di popolo», ha confermato il presidente della Repubblica separatista Anatolij Bibilov in un comunicato diffuso non a caso sul sito di Russia Unita, il partito al potere nella Federazione. Bibilov ha annunciato che, entro il 10 aprile, in concomitanza con le elezioni presidenziali, prenderà «i necessari passi legali» perché l’Ossezia del Sud diventi «parte della sua storica madrepatria, la Russia». Così facendo, ha aggiunto, diventerà «un’unica entità» con l’Ossezia settentrionale- Alania, già territorio della Federazione russa. La Russia aveva riconosciuto l’indipendenza dell’Ossezia del Sud, come pure dell’Abkhazia, altra regione staccatasi autonomamente dalla Georgia, dopo il conflitto con Tblisi nel 2008. L’annuncio di Bibilov è stato subito accolto con favore dal senatore Andrej Klimov, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera alta del Parlamento russo. Del resto, oggi, quasi tutti i 53.500 residenti delle due regioni separatiste hanno il passaporto russo. Il presidente del Parlamento dell’Abkhazia, invece, ha subito detto che la regione non intende seguire l’esempio sud-osseto. «Non è in discussione che l’Abkhazia si unisca alla Russia. La nostra Costituzione considera assolutamente e chiaramente il nostro Paese uno Stato indipendente», ha detto Valerij Kvarchia, pur precisando di considerare Mosca il “partner strategico”. Ma le velleità espansionistiche russe a suon di presunte votazioni nelle urne non si fermano alla Georgia. Domenica scorsa il leader separatista Leonid Pasechnik aveva annunciato che nel prossimo futuro, dopo «la fine del conflitto» e «la conquista della libertà», si terrà un referendum sull’ingresso nella Russia della Repubblica popolare di Lugansk, già riconosciuta da Putin insieme alla vicina Donetsk alla vigilia della cosiddetta “operazione militare speciale”. Affermazioni da cui le autorità russe avevano preso le distanze. «Non penso che sia il momento giusto», aveva commentato Leonid Kalashnikov, capo della Commissione sull’integrazione euroasiatica presso la Duma, la Camera bassa del Parlamento. «È quasi superfluo farsi queste domande adesso, mentre il destino del fronte dev’essere ancora deciso». Ma a quanto pare il voto è solo rimandato.
A molti agenti di polizia viene detto di prepararsi a una missione di lavoro. Viene detto loro che non andranno in teatri di conflitto, ma «nel Donbass annesso alla Russia dopo il referendum». A San Pietroburgo, secondo una fonte vicina al ministero degli Interni citata dal canale Telegram Mozhem Objasnit (Possiamo spiegare), i viaggi all’estero vengono pianificati a giugno. Ai poliziotti viene detto che non prenderanno parte alle ostilità, ma svolgeranno «funzioni di protezione dell’ordine pubblico» e che dovranno «occupare temporaneamente i posti vacanti nella polizia locale mentre viene riformata secondo il modello russo». Proposte simili avvengono anche in altre regioni, ad esempio tra la polizia stradale di Gorno-Altajsk, capitale dell’Altaj. In questo caso, gli ordini russi dovranno essere stabiliti nei nuovi territori. Sono gli stessi viaggi di lavoro organizzati durante il “periodo di transizione” seguito all’annessione della penisola di Crimea nel 2014. E già da tempo ci si chiede se la Transnistria, rivendicata dalla Moldovia, dove la Russia ha stanziato 1.300 uomini, possa diventare la prossima vittima delle mire di Mosca. Intanto, in Ossezia del Sud, non tutti condividono lo stesso entusiasmo per Mosca. A partire dall’ex leader separatista Eduard Kokoity che, pur dicendo di sostenere Putin, si è espresso contro il dispiegamento di uomini dall’Ossezia del Sud in Ucraina sostenendo che le «centinaia di combattenti» che si sono uniti all’operazione militare in Ucraina vengono trattati come “carne da cannone”.