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 2022  aprile 01 Venerdì calendario

Nel mondo dorato del calcio i dinosauri sono sopravvissuti

L a prima volta che Gabriele Gravina ha messo piede in Federcalcio aveva 39 anni e lo stesso ciuffo vanesio, solo un po’ più folto e meno argentato. Era il 1992, in azzurro giocavano ancora Baggio e Schillacci, e in effetti anche all’epoca ci fu una piccola “apocalisse nazionale”: la squadra che veniva dalle Notti magiche di Italia 90 non era riuscita a qualificarsi agli Europei, estromessa dall’ulti – ma Unione Sovietica della storia. Dopo il pareggio fatale a Mosca, il Corriere titolò a tutta pagina: “L’Italia è retrocessa in Serie B”. Il Ct Vicini fu esonerato e accusò il presidente Matarrese, partì il solito processo al calcio italiano. Gravina, che sarebbe entrato dopo qualche mese in Federazione come consigliere della Serie C, rappresentava il nuovo che avanza: ambizioso da sempre, chissà se sognava di rimanerci tanto a lungo da prenderne il controllo. Certo non immaginava che sarebbe passato alla storia come il presidente che non ci ha portato ai Mondiali. Non l’uni – co, a sua discolpa, nell’o tt i m a compagnia di Carlo Tavecchio. “LA STORIA è un ingranaggio di ripetizioni irreparabili”, scriveva Márquez. Si adatta perfettamente al nostro calcio, dove negli ultimi vent’anni di solitudine si ripresentano sempre gli stessi errori, le stesse dinamiche, le stesse facce. Dopo Calciopoli e la recessione economica, il movimento è sprofondato in una crisi che i governanti non hanno saputo vedere, né frenare. La mancata qualificazione ai Mondiali in Qatar è solo l’ennesima presa di coscienza: da giorni è tutto un susseguirsi di progetti innovativi e promesse di discontinuità, appelli a puntare sui giovani. Garantiscono Francesco Ghirelli, Giancarlo Abete, Renzo Ulivieri, 225 anni in tre, i capibastone delle componenti (Serie C, dilettanti, allenatori), che più sostengono la maggioranza. Abbassa la media Umberto Calcagno, solo 51 all’anagrafe, il classico “giovane vecchio” che ha raccolto l’eredità del sindacalista Tommasi, in perfetta sintonia con la discutibile gestione dell ’A ssocalciatori. Comanda Gravina. Uomo forte, fino a ieri. Uomo nuovo, si fa per dire: di anni ne ha 68 e da 30 bazzica quei corridoi. Si è costruito una reputazione a inizio anni 90 come patron del Castel di Sangro dei miracoli favola calcistica solo sporcata dalle accuse (mai provate) di partite vendute e traffico di droga. Poi ha impostato una paziente carriera d’ap parato: consigliere federale, capo delegazione Under 21, presidente della Serie C e, infine, della Figc. È in carica dall’ott ob re 2018, tempo che gli è bastato ad alzarsi lo stipendio (dai 36 mila euro previsti dal Coni fino a 240 mila) e mettere all’a n go l o gli avversari, non a riformare un movimento quasi irriformabile, non solo per colpa sua. Ha reagito alla disfatta contro la Macedonia del Nord col distacco di un passante che si trova lì per caso, superando per equilibrismo i suoi predecessori. In passato, i responsabili politici delle sconfitte avevano almeno fatto finta di togliere il disturbo. Lui nemmeno quello. Forse, ci ha solo risparmiato una forma di ipocrisia. Usciti dalla porta, i dirigenti del pallone sono sempre rientrati dalla finestra, e ora li ritroviamo quasi tutti al suo fianco. L’esempio più eclatante è proprio Tavecchio: cacciato nel novembre 2017 dopo la figuraccia con la Svezia, la sua carriera politica sembrava finita. Zitto zitto, è riuscito a tornare nel gennaio 2021, riconquistando il suo piccolo feudo nel Comitato Lombardia, da cui era partita la sua scalata. Benedetto da Gravina, è stato prezioso per destabilizzare il governo dei Dilettanti di Cosimo Sibilia, rivale politico del presidente federale, dimissionato qualche mese fa. Ma adesso che la Nazionale ha bucato di nuovo i Mondiali, memore del trattamento che gli fu riservato 4 anni fa, pure Tavecchio medita rivalsa. E che dire di Abete, l’unico ad avere la dignità di farsi da parte dopo l’eliminazione a Brasile 2014: pareva destinato a ritagliarsi il ruolo di “grande saggio”, invece a 70 anni suonati ha ritrovato una carica vera, proprio alla guida della Lega Dilettanti. In una specie di Gioco dell’oca, in cui il movimento riparte sempre dal via, i dirigenti si scambiano le poltrone pur di non mollarle, resistono a tutto, anche agli scandali. Prendiamo Ghirelli, uno dei politici più accorti del pallone, 73 anni, fedelissimo di Gravina, prima amici, poi rivali, adesso di nuovo legati: segretario federale ai tempi di Calciopoli, costretto a dimettersi quando scoppiò l’i nchiesta (da cui fu prosciolto), è ripartito dalla Serie C, direttore generale quando Gravina era presidente, presidente quando Gravina è andato in Figc, e ora nominato suo vice in Federazione. Quanto al settore tecnico, la scuola dei nuovi allenatori italiani è dal 2006 in mano a Renzo Ulivieri, classe 1941 (!), coinvolto nei lontani anni ‘80 nel “Tot onero”, ma tanto chi se lo ricorda più. Adesso che la nazionale è di nuovo all’anno zero, affossata dagli interessi meschini della Serie A che pensa solo a se stessa, dalle pastoie burocratiche in cui si incarta ogni progetto, Gravina la prende per mano: insieme a chi ha governato negli ultimi 20 anni, promettono di cambiare un sistema di cui sono figli e artefici, che li ha creati e che loro hanno alimentato. Con questa squadra il calcio italiano riparte con fiducia verso il futuro. Che poi, è sempre il p a s s at o.