ItaliaOggi, 1 aprile 2022
I tedeschini vanno pazzi per il kebab
Nel lontanissimo 2005, quando la maggioranza degli italiani non aveva sentito nominare Angela Merkel, venne inaugurato a Berlino il Palazzo Italia, che doveva diventare il tempio del Made in Italy, dalla Ferrari ai maglioni. Il sottosegretario arrivato da Roma per la cerimonia esaltò la cultura della pizza. Avrebbe dovuto dire che anche la pizza è cultura. Sembra un gioco di parole ma non lo è. Il Palazzo sulla Unter den Linden, viale nella ex Berlino Est, dalla Porta diBrandeburgo alla Alexanderplatz, fu un fallimento. Ma non fu colpa della pizza.
È appena uscito Döner- eine türkische deutsch Kulurgeschochte, storia culturale turco tedesca, di Eberhard Seidel (März Verlag; 257 pagine), al prezzo di 20 euro, quanto bastano per quattro kebab nella versione più gustosa, che tanto piacciono all’autore e a milioni di tedeschi. Seidel, sociologo e giornalista, racconta di aver scoperto il döner nel 1974 a Londra, a 19 anni. Da allora ne ha assaporati 2326, cifra che sarà salita da quanto ha consegnato il testo all’editore. «Ich liebe döner», confessa. Non è un critico neutrale.
A Londra, all’età del collega, scoprii le fish and chips, pesci e patate servite in un cartoccio di carta di giornale, merluzzo fritto e patatine con inchiostro di stampa. Un orrore igienico, appetitoso e economico. Oggi il merluzzo è costoso, e anche i giornali hanno un altro profumo da quando non sono più stampati con il piombo. E il döner da cibo a buon mercato, è diventato un grande affare, non più servito su un piattino di plastica, avvolto come il fish and chips in un cartoccio di pane non lievitato.
I tedeschi ne consumano tre milioni di porzioni al giorno, un miliardo all’anno, che al prezzo di cinque euro arriva a un fatturato di cinque miliardi, battendo la catena McDonald’s. Ma currywürst, la salsiccia in salsa piccante con patatine fritte, e pizza al taglio rimangono in testa. Nel 1995 la McDonald’s tentò di conquistare il kebab, ma l’attacco fallì.
Per l’integrazione culturale, ha scritto Seidel, hanno fatto di più i chioschi di döner che le scuole: «Hans e Mustafà si incontrano e parlano mentre mangiano un kebab e scoprono di avere gli stessi gusti». Scrive kebap con la «p», ha detto, per ribadire la mescolanza culturale. Come i tedeschi si ostinano a scrivere il latte makkiato e i brokkoli.
Seidel scrisse già nel 1996 un saggio simile Wie der Döner über die Deutschen kam, come il kebab arrivò tra i tedeschi, Oggi, ammette che accertare chi fu il primo è complicato, sarebbe come stabilire chi aprì la prima pizzeria in Germania. Ma sembra abbastanza sicuro che il döner non nacque a Londra ma a Berlino, in un chiosco alla Bahnhof Zoo nel 1972, quando il Muro aveva appena 11 anni. La stazione dei ragazzi di Christiane F, mezzo secolo dopo accoglie solo i treni regionali, declassata dalla Hauptbanhof, costruita dopo la riunificazione, ma ospita sempre adolescenti drogati e senza tetto.
L’inventore è Kadir Nurman, nato in Anatolia nel 1933 morto a Berlino nel 2013. Arrivò a Francoforte nel 1960, si trasferì nella città divisa nel ’66, per lavorare in una fabbrica di rotative. Poi ebbe l’idea geniale, osservando i tedeschi che mangiavano panini camminando. Prima servì la carne su un piatto, poi l’avvolse nel cartoccio di pane, con cipolle, lattuga, e salsa all’aglio.
In Turchia non esisteva il döner alla tedesca, e ancor oggi se ne consuma un terzo in meno in confronto alla Germania. Ma si dimenticò di brevettare il suo döner da passeggio. «Come si fa a brevettare un cibo?» disse senza rammarico in un’intervista «sono contento di aver dato lavoro a migliaia di turchi». Il suo primo kebab costava un marco e 50, due Deutsche Mark nel cartoccio, meno di duemila lire.
Oggi a Berlino i chioschi sono 1.600, e in tutta la Germania, compresi i ristoranti, siamo a 18.500. A vivere grazie al kebab sono in 60mila. Kadir preparava a mano cento chili di carne di manzo o di agnello al giorno, oggi un grande distributore produce 50mila trottole di carne infilata su un spiedo.
Ci sono persino döner vegetariani che fanno ribrezzo a Seidel: «Sarebbe come bere vino senza alcol».