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 2022  aprile 01 Venerdì calendario

In difesa del politicamente corretto

Ciao, siamo le parole. Che bel periodo stiamo vivendo! Un sacco di gente ci mette in discussione. Ormai ci contestano anche i puntini sulle i. Era da tanto tempo che non succedeva, e in maniera così tignosa; forse dall’epoca delle avanguardie artistiche del secolo scorso. Ma allora erano gruppetti di poeti a criticarci, non fette di società, generazioni nuove, attivisti. Noi parole italiane, poi… Come tutti i latini e i mediterranei, abbiamo un problema con il sesso e il pudore, vediamo maschi e femmine dappertutto, siamo delle vere maniache. Abbiamo dato un genere alle nuvole e alle maree, al pavimento e al soffitto: desinenze, desinenze sessuate dappertutto; abbiamo appiccicato apparati genitali perfino agli oggetti e ai concetti. Siamo impresentabili, siamo binarie! Per niente fluide: rigidissime nelle nostre fissazioni.
Vi abbiamo fatto un bello scherzo, a consegnarvi questa lingua d’altri tempi. Era stata brevettata per gli artigiani, i mercanti, i contadini, i monaci, i feudatari medioevali, e mo ve la ritrovate per parlare di elettronica, mercati finanziari, sondaggi. Proprio come le vostre città: strade su misura per viandanti e carretti, in cui dovete riuscire a far passare gli autobus e parcheggiare i Suv.
Ecco, noi siamo così, siamo vicoli e viottoli antichi: le vedete, queste righe alfabetiche acciottolate, questa sintassi lucidata dai tacchi, dove adesso rombano paroloni con gli pneumatici? Postumanesimi turbocapitalisti, neologismi criptoideologici… Non siamo in gamba? Questa stoffa logora, vecchia di un millennio, non si strappa, è elastica, si adatta alla contemporaneità, riesce a farvi stare ancora insieme e capirvi a vicenda.
Dal Manifesto del libero pensiero di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi (la Nave di Teseo) ricaviamo tanti spunti di adesione e di contrasto. Grazie per averci chiesto un parere, quotidiano La Stampa, ma non basterebbero seicento pagine, altro che articoletto.
La prima cosa riguarda i nomi dei mestieri: Mastrocola e Ricolfi sono due professionisti riconosciuti, parlano da una postazione enunciativa rispettata. Mastrocola è una scrittrice: suona bene, l’etichetta "scrittrice", anche se noi parole avremmo a disposizione un po’ di sinonimi denigratori per il suo mestiere: "imbrattacarte", "scribacchina", "pennivendola"; e, volendo, anche "letterata", che a quanto pare è diventato quasi un insulto. Per Ricolfi, sociologo, non ci sono sinonimi degradanti e nemmeno bonariamente irridenti, come "strizzacervelli" per gli psicologi; tuttalpiù "intellettuale", altra parola che ormai viene appioppata come fosse un’offesa. Ma hanno mai provato, loro, a vivere dentro un nome di mestiere (sì: vivere dentro un nome) che abbia una connotazione sprezzante? Nel libro, in compagnia con Natalia Ginzburg, fanno l’esempio di spazzini, bidelli, donne di servizio. Non è una questione lessicale, ma di lotta di classe. I punti dolenti sono i rapporti verticali: le gerarchie di censo, di ricchezza, e la loro ricaduta nell’autostima e nel prestigio sociale. Non crediamo che Mastrocola e Ricolfi sarebbero così pacificati e autoironici, come richiedono agli altri, se i nomi tradizionalmente diffusi per le loro professioni, un po’ come spazzino e bidello, invece di scrittrice e sociologo fossero "scrivella" e "raggruppìno".
Scusate, ma qualcuno ci batte sulla spalla. È la firma di questo articolo. Non disturbarci, Scarpa: per una volta che parliamo noi! Che vuoi? «Ma diteglielo che poeti e pubblicitari si fregano le mani di contentezza per questa separazione fra parole educate e parole irrispettose». Ma sì, lo sappiamo: il politicamente corretto è una manna per gli alfabetieri, perché accentua le differenze di energia, contrasta l’entropia del linguaggio. Ah, i bei tempi in cui c’erano i benpensanti! I vittoriani, i borghesotti parigini fin de siècle, i viennesi asburgici, i ministri democristiani… Quanto ci mancano! Benvenuto, politicamente corretto che rimetti in pista la possibilità di scandalizzare! Il confinamento all’inferno di termini considerati impresentabili, come "cieco", "sordo" "vecchio", "frocio" (gli esempi sono di Mastrocola e Ricolfi), ridà vigore a queste parole, le ricarica: ma non soltanto, come sostengono Mastrocola e Ricolfi, perché «fornisce un meraviglioso armamentario di parole contundenti, di parole-proiettili, a chiunque desideri offendere e riversare disprezzo sul prossimo. Gli odiatori, che oggi imperversano in rete, sentitamente ringraziano». Ringrazia anche chi per mestiere e ispirazione lavora sui diversi registri del linguaggio, sui diversi gradi di incisività delle parole, come i poeti, i pubblicitari, i giornalisti, i politici: i cittadini tutti.
Noi parole non siamo tutte equivalenti, ed esserne consci, per voi umani, è sempre benefico, al di là della bontà o assurdità delle soluzioni che escogitate per parlare in maniera più decente. Per noi parole invece è una fregatura: vivevamo così bene nella vostra inconsapevolezza! Perché noi prosperiamo quando voi pensate di parlare spontaneamente, quando credete che siamo la parte più intima di voi. Mentre noi siamo creature aliene, vi abbiamo colonizzato.
La terza cosa è la questione del revisionismo artistico, la cancellazione delle opere del passato, la demolizione di statue e mitologie classiche: secondo Mastrocola e Ricolfi viviamo un tempo chiuso nel proprio presente, che vorrebbe abolire, censurare o correggere la cultura della tradizione. Qui noi parole abbiamo riso di cuore. Egli è palese che l’italico suolo, di desueti effati e prische voci è ognor ricetto: scusate, hanno appena fatto irruzione le parole dell’opera lirica; gongolano, a sentir dire che il passato viene mortificato, perché, sfruttando argomenti come quelli di Mastrocola e Ricolfi, possono fare pure le vittime (il contrario di cornute e mazziate: privilegiate e commiserate!): in un Paese che non sa inventare una forma di teatro popolare nuova, in cui gli eventi culturali dell’anno sono ancora le Tosche e le Traviate alla Scala, in cui Shakespeare imperversa nei cartelloni teatrali e i consessi di critici danno il premio Ubu alla milionesima rimessa in scena dell’Amleto.
Ne avremmo altre mille da dire, ovvio, siamo parole. Sempre a polemizzare, battibeccare, mai contente, in dissidio continuo. Ma consolatevi, voi umani: quando sarete perfettamente d’accordo con noi, quando coincideremo in pieno con la vostra situazione, vorrà dire che non sarete più inafferrabili, inquieti, vivaci. Noi parole riusciamo a descrivere bene solo i morti.