La Stampa, 1 aprile 2022
Il caso Spallanzani-russi
La nomina di Francesco Vaia a direttore generale dell’Istituto Spallanzani – formalizzata ieri dalla Commissione sanità della Regione Lazio – cade in uno dei momenti più controversi della storia dell’Istituto. Specialmente per quel che riguarda i fatti accaduti da quando proprio Vaia fu nominato direttore generale “facente funzione” (ossia nel gennaio 2021). Da allora succedono molte cose nebulose.
Vaia ha dichiarato che «nell’ambito della collaborazione con l’Istituto russo Gamaleya è stato effettuato uno studio di laboratorio, condotto su sieri di soggetti vaccinati in Russia con il vaccino Sputnik V, regolarmente importati secondo le procedure autorizzative del ministero della Salute, sull’effetto neutralizzante in vitro di Sputnik contro la variante Omicron. Studio concluso ben prima degli eventi bellici e per il quale i costi sostenuti dall’Istituto ammontano a poche migliaia di euro, essendo stati i costi relativi alle trasferte delle tre colleghe russe sostenuti dalle istituzioni russe». Ma secondo quanto risulta a La Stampa, tre ricercatrici russe erano già state allo Spallanzani nell’estate del 2021 e hanno condotto ricerche non solo su Omicron (che allora non c’era), ma testando neutralizzazioni dei ceppi virali Delta e Alfa con i sieri dei vaccinati russi. Dei risultati di quello studio non si sa più nulla, perché? Il direttore del dipartimento clinico, Andrea Antinori, ha ammesso nell’ottobre scorso in tv che furono fatte le prove di neutralizzazione del ceppo Delta, fornendo anche un dato sull’efficacia di Sputnik, «l’82 per cento rispetto all’88 di Pfizer, quindi un risultato molto buono». Di questa attività non esiste a oggi alcun riscontro scientifico (articolo, preprint, presentazione a convegni).
Quelle tre russe non tornarono mai più allo Spallanzani. Furono rimpiazzate. Da San Pietroburgo, per le prove su Omicron (avvenute nell’inverno 2021 a Roma) mandarono altre tre ricercatrici, diverse. Forse i risultati iniziali non erano piaciuti?
Non è chiaro perché lo Spallanzani abbia continuato a testare l’efficacia dello Sputnik anche a dicembre scorso, quando era ormai certo non solo che Ema non aveva autorizzato il vaccino russo, ma anche che non lo avrebbe autorizzato. Lo Spallanzani ha ricevuto ieri una serie di nostre domande dettagliate, alle quali per ora non ha risposto. «La collaborazione è stata di natura puramente scientifica, del tutto scevra da qualsiasi considerazione di natura politica o di altra natura», dice il direttore scientifico Enrico Girardi. Eppure nel Memorandum firmato (aprile 2021) tra Spallanzani, assessorato alla sanità della Regione e i russi (Gamaleya e Fondo russo) si legge anche che i test sarebbero stati fatti in vista della «integrazione di Sputnik V nella campagna vaccinale italiana»: come poteva lo Spallanzani dire questo, che è cosa di competenza esclusivamente governativa? Ieri Roberto Speranza ha scaricato completamente quell’accordo coi russi, quando ha precisato che «rientra tra le iniziative autonome di collaborazione internazionale dei nostri istituti di ricerca, ed è stato comunque sospeso».
Invece l’assessore alla sanità regionale, Alessio D’Amato, il primo marzo 2021, pretendeva addirittura che Ema si sbrigasse: «Su Sputnik l’Ema acceleri le procedure. O intervenga l’Aifa», tuonava. «Si sta chiedendo di evitare le pastoie burocratiche. Sarebbe utile che Aifa prendesse in esame la possibilità di autorizzare in emergenza il vaccino Sputnik V».
«La collaborazione con i russi non ha comportato alcun trasferimento di dati personali», assicura ora lo Spallanzani. Solo i ceppi virali dell’Istituto sono stati usati dai russi: ma per quale motivo darglieli visto che le sequenze dei virus isolati sono disponibili su database internazionali (tipo Gisaid) pubblicamente disponibili? Pfizer e Moderna hanno sviluppato il loro vaccino sulla base della sequenza del virus isolato a Wuhan e caricato su Gisaid nel gennaio 2020. I russi invece l’hanno sequenziato a partire dal virus contratto da un russo che si era ammalato in Italia il 15 marzo. E da lì nacque Sputnik, nei giorni esatti della missione “Dalla Russia con amore”.
Dopo la nomina di Vaia a “dg facente funzione” è impressionante l’esodo dallo Spallanzani di dirigenti, ricercatori, personale in posizione apicale. Situazioni certo diverse, ma un patrimonio inestimabile di talenti che l’istituto viene a perdere. Escono, con diverse ragioni ma escono, Marta Branca, direttore generale, Giuseppe Ippolito, direttore scientifico, Roberto Noto, direttore amministrativo, Nicola Petrosillo, responsabile del dipartimento clinico, Maria Rosaria Capobianchi, responsabile del dipartimento preclinico e direttore del laboratorio di virologia, Antonino di Caro, responsabile del laboratorio di microbiologia, Roberta Nardacci, responsabile della microscopia elettronica, Alessia de Angelis, responsabile degli infermieri. E Concetta Castilletti, responsabile dell’Unità Virus emergenti, la donna che assieme a Capobianchi e a Francesca Colavita aveva isolato il coronavirus nel gennaio 2020.
Vaia ha anche precisato – a proposito dell’offerta di 250 mila euro fatta a un dirigente dell’Istituto da parte di funzionari di stato russi (l’offerta, rivelata da La Stampa, fu rifiutata dal dirigente) – «per quanto mi risulta, attraverso le informazioni acquisite, non fu sporta alcuna denuncia. Ove emergessero elementi anche di solo sospetto, non esiterei ad intraprendere tutte le azioni legali a tutela dell’Istituto». Che non ci sia una denuncia non significa naturalmente che il fatto non sia stato segnalato alle autorità competenti.