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 2022  aprile 01 Venerdì calendario

Le spese militari ai raggi X

Alla fine, l’aumento della spesa militare ci sarà, ma graduale, di qui al 2028. È la mediazione che rasserena la maggioranza, ma è forse anche una soluzione furba, perché in tempi stretti non ci sarebbe stato nemmeno il modo di spendere i miliardi aggiuntivi che andranno al bilancio della Difesa. Non sono un prodotto da banco, i sistemi d’arma. In certi casi sembrano più articoli da fantascienza che devono ancora essere inventati. Qui si parla infatti di cannoni laser, di satelliti da guerra, di missili ipersonici che viaggiano a dieci volte la velocità del suono, di droni, di intelligenza artificiale.
Per certi versi, il futuro è già tra di noi. La società italiana Elettronica, per dire, che è un’eccellenza nel settore, ha appena presentato un sistema antidrone a difesa di un convoglio in movimento, che utilizza sensori di scoperta, ed è in grado di identificare e distinguere i droni in avvicinamento tra amici e nemici, a una distanza tale da assicurare un adeguato tempo di reazione. Per riuscirci, usa algoritmi da intelligenza artificiale. Ed ecco, allora, qual è la guerra del futuro a cui ci stiamo preparando. Racconta il professor Michele Nones, vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali: «Prendiamo ad esempio un nuovo dominio, lo spazio. Qui ci sono molti studi per ripulire dai detriti le orbite dei satelliti. Il fine è nobile. Abbiamo sporcato lo spazio, ora dobbiamo ripulirlo. Ma ci vuol poco a voltare queste tecnologie a scopo militare. Se un satellite avrà un braccio meccanico per raccattare un detrito, in un futuro non lontano lo si potrà usare nello spazio per rompere un satellite del nemico».
Già, i satelliti. Sia per le comunicazioni, sia per l’osservazione, giocano un ruolo centrale in una guerra, domani anche di più. «Grazie ai satelliti-spia, l’intelligence americana sta dando informazioni vitali all’esercito ucraino. Informazioni che stanno facendo la differenza sul terreno di battaglia», spiega Pietro Batacchi, il direttore della Rivista italiana di Difesa. E dunque già si pensa a satelliti belligeranti.
Occorreranno però miliardi in investimenti perché il drone e il satellite saranno i pilastri della guerra tecnologica, ma da soli sarebbero esposti alle incursioni telematiche. E allora cyber-sicurezza, sistemi satellitari e mezzi a guida autonoma diventeranno sempre più interconnessi. C’è un sistema d’arma su cui l’Italia sta investendo da diversi anni (la prima a staccare un assegno fu l’ex ministra grillina Elisabetta Trenta nel 2019) che si chiama Tempest e rende bene l’idea di che cosa si va preparando. Ebbene, il Tempest, che è una cooperazione anglo-italo-svedese, banalmente può essere considerato un aereo di nuova generazione. In realtà è un sistema di sistemi, che al centro avrà un aereo intercettore e un pilota, ma che si muoverà attorniato da uno sciame di droni piccoli e grandi, che dovranno essere in grado di seguirne le evoluzioni senza scontrarsi in volo, e che avranno diversi compiti: chi di difesa del velivolo-madre, chi di attacco al suolo, chi di osservazione del campo di battaglia, chi di accecamento dei radar ostili. I droni dovranno interfacciarsi con il pilota, con i satelliti che osserveranno dallo spazio, con le sale operative a terra. Per di più è previsto che il velivolo-madre sarà armato di un cannone laser. E qui entriamo dritti nel futuribile.
Se i russi hanno dimostrato di essere in grado di sparare già i primi missili ipersonici, gli americani sono più avanti con il cannone laser che colpisce e distrugge a chilometri di distanza. Il cannone laser, però, per il momento è di difficile gestione per due motivi: perché ha il difetto di attraversare l’obiettivo, ma di continuare poi la sua corsa distruttiva; e perché gli servono enormi fonti di energia. Detto questo, gli scienziati sono già al lavoro.
Si dirà: ma ha senso spendere tutti questi soldi per armi così lontane da noi, dalla nostra sensibilità, e anche dalle esigenze attuali? La sondaggista Alessandra Ghisleri segnalava ieri su questo giornale che il 61,4% degli italiani è contrario all’aumento delle spesa militare; si scende al 47,3% di non favorevoli se queste spese comporteranno investimenti in ricerca e tecnologia. «Il punto - replica il professor Nones - è che molti armamenti nel tempo diventano obsoleti e non c’è nulla da fare. La nuova generazione di armi sono figlie della rivoluzione industriale 4.0, e adoperano nuovi materiali, nanotecnologie, informatizzazione spinta. Servirà un’enorme potenza di calcolo, e ciò richiederà intelligenza artificiale. La digitalizzazione, a sua volta, spingerà alle incursioni telematiche e alla cyber-sicurezza. Questa è la realtà. Le nuove armi richiederanno investimenti tali che nessun Paese europeo da solo potrà farcela. E come per la transizione digitale, anche questa transizione farà morti e feriti nell’industria europea della Difesa. Guai a chi si attarderà su prodotti tecnologicamente superati o peggio non vorrà partecipare».