Corriere della Sera, 31 marzo 2022
Elogio di «Una pezza di Lundini»
È iniziata la terza stagione di Una pezza di Lundini, il programma condotto da Valerio Lundini ed Emanuela Fanelli, ideato da Giovanni Benincasa e allietato dalla band ufficiale i VazzaNikki (Rai2). Fatti tutti gli elogi immaginabili e possibili (comicità surreale, intelligenza a sfare, dinamiche dello spaesamento, sublimazione comica, ecc), detto e sottoscritto che Valerio Lundini è cintura nera di nonsense, affermato senza tema di smentite che Emanuela Fenelli sta ripercorrendo la strada di Franca Valeri, resta una domanda di fondo.
Ma cos’è davvero Una pezza di Lundini? Non è necessario trovare la risposta esatta, anche perché probabilmente non esiste. Come direbbe Giorgio Manganelli, se solo si fosse interessato di televisione, le caratteristiche di un Buon Programma contemplano una scandalosa indipendenza di giudizio, un coraggio feroce delle proprie idee, l’irrisione delle idee collettive, rigore e assenza di illusioni. Pur tuttavia, l’impronta di Giovanni Benincasa è così forte che Una pezza di Lundini sembra un vecchio «Meccano», quel gioco di costruzioni in voga tanti anni fa, con dadi e bulloni per costruire modellini meccanici. Salvo che i modellini da smontare e rimontare li fornisce la tv stessa. Principalmente la tv. L’insistita gag con cui Lundini demolisce la partecipazione di Fanelli a un film di Virzì vale tutte le promozioni, le ospitate, le markette che vari programmi mainstream offrono ad attrici e attori.
Ogni intervento dei due serve a rivoltare il guanto che sorregge un programma, uno qualsiasi, per mostrarci non l’altra parte ma tutta la trascendenza che non c’è. Il filmato sui carsharati (l’auto in sharing per car-cerati) rappresenta il terrapiattismo culturale in cui ancora viviamo. Lundini è troppo intelligente per essere un intellettuale e troppo esilarante per essere un comico. Così Fanelli, così Alessandro Gori (lo Sgargabonzi), così Benincasa.